Musicista e imprenditore di successo, Franco Ambrosetti ha saputo conciliare due professioni apparentemente agli antipodi, un’esperienza che ha voluto raccontare nel libro: La scelta di non scegliere. Una vita passata in viaggio, che lo ha visto suonare accanto ai grandi nomi del jazz, senza mai allontanarlo dal Ticino. Marito, padre, nonno, oggi Franco Ambrosetti condivide la vita con la moglie Silli, circondato dai nipoti, dall’arte e dalla sua inseparabile musica.

Riesco a incontrare Franco Ambrosetti tra un viaggio e l’altro, a casa sua. Ad accogliermi la moglie Silli, attrice di teatro, bellissima oltre che talentuosa.

Siete stati a New York per piacere o per lavoro?

«Entrambi (sorride), New York mi regala sempre grandi emozioni e adoro suonarci».

Nel salone noto un pezzo di storia della famiglia Ambrosetti, un cerchione d’auto…

«Avevamo due fabbriche, una qui in Ticino e una più grossa a Milano. Come può immaginare producevamo ruote (indica il pezzo lucido), le ruote Borrani per la precisione, quelle che utilizzavano nella Formula 1 fino al 1966. Il brevetto, in origine inglese, lo aveva acquistato mio, poi però lui lo aveva modificato, introducendo l’alluminio e rendendo così i cerchioni leggeri e assolutamente all’avanguardia».

Quanta storia, ma la passione per la musica? Da dove arriva?

«Per raccontarlo dobbiamo fare un passo nel passato (soddisfatto), i miei antenati erano imprenditori e musicisti, di origine calabrese, ma mio padre era di Varese e già il mio trisnonno era venuto in Ticino a lavorare; faceva il capo giardiniere all’hotel Walter, nel 1800, mi viene da ridere poiché è difficile immaginare un giardino in pieno centro a Lugano oggi.  La vena imprenditoriale era del mio bisnonno, che nella sua piccola carpenteria aveva iniziato a produrre ruote. Ma era anche un grande amante della musica e fu uno dei fondatori della banda civica, suonava il bombardino (divertito). Poi la musica ha saltato una generazione, mio nonno non suonava, ma è stato un imprenditore di successo. Come però accade spesso, la seconda generazione guasta l’operato di quella precedente e così io mi sono ritrovato a mettere in salvo le società (oggi vendute)».

E sua mamma?

«Questo è un capitolo tutto a sé. Mia mamma suonava la batteria. Se lo immagina? Una donna di famiglia nobile, sempre in gonna, che suonava la batteria?».

Ma allora la sua era una famiglia sensibile alla musica, perché suo padre a un certo punto le ha imposto una scelta?

«Voleva che diventassi un imprenditore, senza mezzi termini. Erano altri tempi e come spesso accadeva nelle famiglie i primogeniti dovevano seguire la tradizione, gestire le fabbriche e studiare ingegneria. Devo però dire che i primi anni di Università mi è andata bene (ride), il papà mi aveva permesso di studiare e fare musica e io ne avevo subito approfittato. In quell’epoca ho imparato a suonare la tromba, facevo concerti, ero sempre in giro e a lezione non mi si vedeva praticamente mai. Poi a un certo punto le cose sono cambiate, mio padre mi ha messo alle strette dicendomi: “Se vuoi andare a New York o a Vienna a suonare fallo, ma non contare sul mio sostegno”. A quel punto, anche per una questione di orgoglio, ho deciso che avrei terminato l’Università e così mi sono laureato in economia».

Ma senza mai smettere di suonare…

«Esatto, studiavo e suonavo, i concerti erano durante il fine settimana, quindi riuscivo a conciliare le due cose».

Alla fine non è mai riuscito a essere unicamente un musicista professionista, perché anche al termine dell’Università ha iniziato subito a lavorare…

«Per quattro anni ho fatto l’Head Hunter (il cacciatore di teste) per delle società zurighesi, una professione agli albori che mi appassionava molto, fino al giorno in cui mio papà mi ha richiamato all’ordine (tono divertito) e sono dovuto rientrare in Ticino per seguire l’attività industriale di famiglia».

Quando parla di suo padre lo chiama papà, in tono molto affettuoso…

«Per me lui è stato come un fratello maggiore, avevamo poco più di vent’anni di differenza. Lo ricordo come una persona molto simpatica, anche se per parlargli dovevi affrontare temi ben precisi: sport, musica o industria, la sua industria… e politica, lui era un liberalone. Se invece volevi parlare di altro, trovavi un muro insormontabile. Mia mamma invece era diversa, era molto interessata alla letteratura, alla filosofia, all’esoterismo, era bravissima a fare i tarocchi e li faceva anche a me, anche se mal volentieri».

Scusi se mi permetto, ma Silli quando è arrivata nella sua vita?

«Ventitrè anni fa, anche se mia mamma e la mamma di Silli, Ketty Fusco, erano amiche. Io ero già stato sposato, dalla mia prima moglie ho avuto due figli, e in quel momento ero solo, anche se devo ammettere di non amare la solitudine, ma mai avrei pensato di innamorarmi ancora…».

Quindi è stato un bel colpo di fulmine…

«Sì, inevitabile, un colpo di fulmine a teatro. Mi avevano chiesto di collaborare a una pièce, dovevo fare l’alter ego di un personaggio suonando la tromba. La regia era curata da Silli, non ci siamo più lasciati».

E siete anche due splendidi nonni…

«Teniamo moltissimo alla famiglia, tutte e due. Anche Silli ha avuto due figli prima di incontrarmi e la cosa bella è che i nostri ragazzi si conoscono dall’epoca degli studi e si frequentano. Senza parlare dei nipotini, ne abbiamo cinque, devo ammettere che sono ancora piccolini…e che io li preferisco un po’ più grandi, quando iniziano a farti quelle domande esistenziali con gli occhi illuminati dalla curiosità».

Lei è un uomo con grandi passioni, che ha vissuto, amato, e mai si è allontanato dalla musica…

«Non potrei vivere senza musica. La musica mi ha aiutato a superare ogni momento, è una compagna di vita fantastica».

La musica è talento o è parte di tutti noi?

«Ognuno di noi può ascoltare musica, basta trovare il genere che ci piace, ma non tutti siamo fatti per essere dei musicisti, mia figlia ad esempio ha altrettanto talento musicale di mio figlio, ma non suona. Io, invece, non potrei mai stare senza suonare… basti pensare che già all’età di quattro anni riconoscevo i grandi del jazz dopo poche note e che a sei anni suonavo il piano».

Quindi se non avesse avuto il talento musicale non avrebbe mai potuto fare la vita che ha fatto, diviso tra lavoro e musica…

«Esatto. Con tutta la volontà, ma senza talento, è praticamente impossibile che un industriale di successo faccia anche dei concerti. L’inverso invece sì… grazie al mio dono, che non è un merito, questo va detto, ma una questione genetica, sono riuscito a inseguire il mio sogno senza abbandonare la carriera».

Lei mi sembra una persona riservata, che non ha bisogno di sottolineare quello che ha fatto nella vita, ma poi ha deciso di scrivere la sua biografia. Come mai?

(Sorride). «Io ho sempre detto che non avrei mai scritto una mia biografia, ma, come spesso accade quando si dice mai, ecco che l’ho pubblicata. Alla fine, è stata una sfida, mi hanno proposto un giornalista che raccogliesse la mia vita in un libro, poi , quando ho letto la bozza del libro mi sono reso conto che non andava bene, non riuscivo a sentire la passione che avevo messo nel raccontare la mia vita. Quindi ho deciso di scriverlo io».

Rivivere tutti I momenti, anche i più intensi, non le ha fatto venire malinconia?

«No, perché ho una vita talmente bella che non ho malinconia».

Oltre i suoi numerosi viaggi lei passa molto tempo in Grecia, come mai la scelta di questo Paese?

«Amo le Cicladi, dove il mare è intenso e ci sono pochi alberi. Ma la verità è che è colpa di Silly (ride), lei voleva una casa al mare poi abbiamo avuto un’offerta… abbiamo vissuto in una casa a pochi metri dal mare e ce ne siamo innamorati, ma non pensi che andiamo solo a riposarci (ridiamo), Silli passa le sue giornate a comporre quadri e sculture, io a comporre… musica naturalmente».

Lei non si sente molto ticinese vero (simpaticamente)?

(Ride) «È vero, soprattutto dal punto di vista musicale, mi sento più legato all’America, ma questo non significa che non ami il Ticino e che non ne sia affezionato».

Cosa dobbiamo ancora imparare qui in Ticino…

«Siamo molto litigiosi, questo è un Cantone composto ancora da fazioni, l’una contro l’altra… dovremmo invece collaborare attivamente».

Per quanto riguarda l’industria…

«Dobbiamo smetterla di penalizzare chi sta bene e far scappare i grandi contribuenti. Dobbiamo smetterla di essere gelosi di quello che gli altri hanno».

E nell’ambito artistico?

«Purtroppo, anche in questo caso, troppo spesso le eccellenze scappano dal Ticino. Con l’Università le cose sono un po’ cambiate, ma non lottiamo abbastanza. Devo però aggiungere che la sinfonica è un’ottima sinfonica, è una delle poche eccellenze e anche il Conservatorio nel classico è ottimo, anche la scuola di musica moderna funziona e ne sono fiero».

Difficile raccontare la vita di Franco Ambrosetti in una semplice chiacchierata, forse è doveroso aggiungere che per oltre vent’anni è stato presidente della Camera di commercio del Canton Ticino ed è stato il fondatore della Scuola di musica moderna della Svizzera italiana.