Trovare un momento nell’agenda di Tito Tettamanti è impossibile. Non è la prima volta che cerco di intervistarlo quindi accetto (anche se a malincuore) di scrivergli una lettera. Lo voglio immaginare seduto alla sua scrivania, ordinata e senza computer, prendersi un po’ di tempo per raccontare la sua intensa vita.

Lei è nato nella Lugano degli anni 30, tra le due grandi guerre, dove si respirava – immagino – un’atmosfera particolare. Come se la ricorda?

«Una tranquilla città di provincia dove tutti si conoscevano ed avevano un soprannome. Il direttore di un giornale, ad esempio, era “ul Giuvanin pena d’or”».

Suo padre era un bancario, quando ancora la maggior parte delle persone teneva i pochi soldi sotto il materasso e lavoravano la terra. Cosa ricorda di lui, del suo lavoro?

«La serietà e la centralità dell’impegno lavorativo. Il senso del dovere».

E la figura di sua madre? Che importanza ha avuto nella sua crescita e nella sua vita.

«Figura tipica della piccola borghesia responsabile, impegnata a prendere cura con attenzione del marito, del figlio e della casa».

Lei che tipo di bambino era?

«Un figlio unico viziato».

Il nome Tito, non molto comune, sa per quale ragione è stato scelto?

«A dire la verità non lo so… avrei dovuto chiederlo ai miei genitori. Forse perché corto e con due “t” ».

Ha scelto di studiare giurisprudenza per un suo senso di giustizia o per qualche altra ragione?

«Non scommetterei che tutti coloro che hanno studiato e studiano legge lo facciano per senso di giustizia. Io sicuramente no. Erano studi per far carriera nella vita».

Andava bene a scuola?

«Non ero il primo della classe, ma me la sono sempre cavata abbastanza bene».

Diciamo che ha avuto un percorso di studi molto rapido, questo atteggiamento faceva già parte del suo carattere? È sempre stato molto determinato?

«Niente a che vedere con il carattere, ma con la mancanza di soldi, la necessità aguzza l’impegno».

E la politica come è arrivata nella sua vita? Come mai il partito più conservatore?

«Riccardo Rossi, noto uomo politico, dopo una sconfitta dei conservatori a Lugano (1948) raccomandò a suo figlio Giancarlo, mio grande amico e già compagno di scuola al Ginnasio, di costituire una sezione di giovani del Partito a Lugano e di far fare il Presidente a me. Ho sempre fatto fatica a rifiutare cariche offertemi».


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