Incontro Emilio Martinenghi in una delle location più belle del Ticino: Villa Principe Leopoldo. La giornata è calda, anche se la mattina ha piovuto. Pranziamo assieme ed iniziamo a chiacchierare di vacanze, famiglia, libri letti e non letti e poi ci soffermiamo a riflettere su come la vita ci riporta sempre là, in quei luoghi dove abbiamo ancora qualcosa da dare, vicino alle persone cui abbiamo ancora qualcosa da dire.

È un po’ che non ci vediamo. Sai che non pensavo saresti rientrato in politica? Ero convinta fosse un capitolo, come dire, chiuso…

«Anch’io (divertito), ma le cose sono cambiate e sinceramente sono contento di aver fatto questa scelta. Sai quando ero giovane era diverso, c’era un sistema preordinato, quindi era abbastanza normale caderci dentro, sto parlando della politica di paese dove tutti si conoscono e dove ti senti parte direttamente coinvolta. Nutrivo sicuramente anche ambizioni a livello cantonale, purtroppo o per fortuna ho fatto parte di quella generazione che non trovava spazio facilmente nei giochi politici di allora».

Quanti anni avevi?

«Ne avevo venticinque ed ero appena rientrato dagli studi. Ho iniziato come molti e per finire, il tempo è volato, sono stato sindaco di Cureglia otto anni. Sinceramente, riprendendo la domanda che mi ha fatto prima, ero effettivamente convinto che non mi sarei mai più occupato di politica».

Ma cos’era successo? La politica, qualcuno in particolare, ti aveva deluso?

«Nessuna delusione, anzi… il mio Comune, tutta la cittadinanza mi sono stato molto vicini negli anni, anche in quelli non sempre facili. Avevo militato per 28 anni tra Consiglio comunale e varie funzioni e pensavo fosse giunto il momento di lasciare spazio a chi veniva dopo di me, a chi ne aveva voglia. Non volevo più essere quello che doveva dire delle cose. Così per dieci anni non ho più pensato alla politica, naturalmente la seguivo, ma mai attivamente e mai esponendo in pubblico le mie idee. Poi, in modo quasi inaspettato, ho ricevuto una telefonata. Mi hanno chiesto se ero interessato a mettermi a disposizione per la presidenza del partito cantonale. Siccome nella vita si continua a dire che tante cose vanno migliorate, ma concretamente si fa poco, mi sono ritrovato confrontato con me stesso. Ti dico la verità sarebbe stato molto più semplice declinare gentilmente l’invito, ma avrei tradito una parte di me».

Immagino non sia stato facile rimettersi in gioco in un mondo, quello politico, molto cambiato nell’ultimo decennio…

«Come tutte le sfide è stato impegnativo, non posso negarlo, ma allo stesso tempo ho imparato molto e ho conosciuto di persona la politica cantonale, riconoscendone anche un certo distacco dal mondo privato da cui provengo».

Comunque alla fine sei rimasto lo stesso nel partito…

«Mi ero detto che se non fossi diventato presidente avrei smesso. Ma poi mi hanno chiamato».

Un’altra telefonata… (ridiamo)

«Sì, sì è andata così. Mi ha chiamato l’attuale presidente del Partito Liberale Radicale, Alessandro Speziali, chiedendomi se avessi voluto fare parte dell’ufficio presidenziale. La scelta non è stata immediata, ho dovuto pensarci un attimo e riflettere… un mesetto, diciamolo, mai poi ho accettato. Ho detto sì sempre per lo stesso motivo: sono di una generazione che ama profondamente il nostro Paese, questo luogo che ci ha fatto nascere, crescere e che ci ha dato molto, noi lo sentiamo addosso nella pelle e tu lo sai bene, quindi a me interessa molto che il Ticino possa andare avanti, crescere, trovare quell’armonia che oggi abbiamo un po’ perso. Avere un partito è un punto di partenza per portare avanti le proprie idee, per concretizzare i propri progetti».

Pensi sia finita l’era dei partitoni? Che in futuro saranno sempre più i singoli a prendere i voti?

«La persona è sempre più premiata rispetto al partito di appartenenza, ma questo non significa che non sia necessario avere una struttura solida, quindi i partiti resteranno anche in futuro un fondamento della nostra politica. Inoltre, secondo me, rappresentano uno strumento identitario, sempre che sappiano garantire una loro autenticità, evitando risonanze autopromozionali. Oggi, va detto, le divisioni non sono più polarizzate tra sinistra o destra, le contrapposizioni sono tematiche: ambiente, economia, città e campagna, anche se purtroppo prevale ancora una certa ideologia».

Ma se riducessimo il numero dei partiti?

«Tutto potrebbe funzionare, potremmo avere anche un solo partito se tutti noi volessimo andare nella stessa direzione. Però vai a dirlo ai ticinesi, così legati ai nostri credi (sorride)».

Ti stai battendo molto per la crescita economica del Ticino…

«Per crescere e consolidare il tessuto economico del Paese e soprattutto poter contare su uno stato socialmente forte, dobbiamo migliorare determinate condizioni. Una è sicuramente quella che interessa la fiscalità delle persone fisiche in Ticino. Questo è un aspetto della politica, che deve essere chiaro e dovrebbe essere capito da tutti. Dobbiamo avere il coraggio di ridurre le tasse, anche alle persone più ricche. Questo significa mantenere la progressività del carico fiscale riportandola però a livelli proporzionali nella media degli altri cantoni confederati. Oggi il Ticino si trova nelle ultime posizioni per le fasce alte di contribuenti, è invece in media per quanto riguarda il ceto medio e molto attrattivo per i bassi redditi».

Ma il ragionamento che la maggior parte dei votanti fa è: meno entrate dalle tasse, meno soldi a disposizione…

«Riducendo le tasse, in particolare per chi oggi paga in modo cospicuo e preponderante, miglioriamo le condizioni per attrarre nuovi e ulteriori contribuenti importanti. Il gettito tenderà al contrario ad aumentare e permetterà allo Stato di assolvere ai propri compiti. In Ticino il 3% delle persone fisiche paga quasi il 40% di tutte le imposte. Basta questo dato a far riflettere sulla necessità di riformare il sistema tributario».

Effettivamente ci basta vedere l’attrattività fiscale di altri Cantoni per capirlo…

«Certo, questi Cantoni hanno capito che i buoni contribuenti non vanno fatti scappare. La ricchezza del singolo va a beneficio della collettività, crea indotto economico e, come ti dicevo, crea una forza ridistributiva a favore delle fasce economicamente fragili. Mi auguro che la politica sappia mostrare concretezza ed evitare contrapposizioni ideologiche».

E sulle uscite?

«Sicuramente il governo deve ottimizzare una certa spesa corrente, ma lo Stato non deve avere paura dei conti, deve guardare oltre, rilanciare progetti di investimento anche con un eventuale aumento del debito pubblico. Bisogna avere il coraggio di osare e fare, per questo mi scontro un po’ con una certa ortodossia di bilancio dei conti pubblici. Se non investiamo ora cosa ne sarà del nostro Paese tra vent’anni? L’esempio te lo do con il polo sportivo e gli eventi della città di Lugano. Sono un convinto sostenitore di questo investimento. Perdere questa occasione significa restare fermi e discutere per altri 10 o 20 anni prima di avere delle strutture di interesse per tutta la collettività. Sarebbe un’altra occasione mancata. Peccato».

Il tuo pensiero si rivolge molto ai giovani…

«Si è vero. A noi stessi sappiamo badare, ai nostri cari anziani pure e lo penso affettivamente e non solo materialmente. Dobbiamo invece fare di più per offrire prospettive ai giovani. Sia nel campo lavorativo e formativo, sia per quanti – e sono in molti – si sentono esclusi da questi percorsi. Migliorare si può, cambiando anche alcune delle nostre convinzioni e promuovendo cosi una società più inclusiva e meno giudicante».

Ti sento monto appassionato nei tuoi discorsi e soprattutto ci credi, questo è importante. Ma trovi ancora tempo per dipingere?

«Sempre, dipingo sempre».

Non ti capita che questi due aspetti della tua personalità, il creativo e il pragmatico, si scontrino?

«Non sono due parti in antitesi, anzi (pausa), quando lavoro mi esprimo come mi esprimo nella pittura, in modo intuitivo e spontaneo, cerco di essere molto sincero con me stesso e con tutto quello che faccio. Quando dipingo un quadro non cerco la perfezione, cerco quell’energia, quella soddisfazione che mi da piacere, e la stessa cosa la cerco nel lavoro, un risultato che mi piaccia e che mi soddisfi, che risulti positivo, per il cliente e anche per me. Chiaramente nel lavoro mi affido maggiormente alla preparazione, mia e dei miei colleghi e dell’esperienza maturata».

Immagino che per fare tutto quello che fai sei sempre un mattiniero…

«(Ride) sì ma la sera vado a letto presto, anche se qualche volta mi concedo un appuntamento sociale, ma l’alzarmi all’alba è un regalo prezioso al quale non rinuncio».

E cosa farai nei prossimi anni?

«Come ogni giorno mi lascerò sorprendere da quello che arriverà e come ogni giorno il mattino ringrazio qualcuno per il giorno nuovo».

Sei religioso?

«A modo mio sì (sorride)».

Ho pensato molto al titolo di questa intervista perché desideravo rivelasse una caratteristica di Martinenghi, al di là della politica e della professione. La volontà di cambiare indica un suo tratto caratteriale, il sapersi mettere in gioco, ascoltarsi e soprattutto credere di poter cambiare, sé stesso e il mondo, in meglio.