Cresciuto nella cultura naturalistica del mondo agricolo (era nato a Milano il 28 novembre 1925), molto legato alla figura della madre da cui apprese il principio della tolleranza e la vocazione all’indagine, sempre e comunque, intorno alle cause degli eventi, Umberto Veronesi si laureò nel 1951 in Medicina e iniziò subito a lavorare all’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, in un’epoca in cui l’oncologia era considerata la Cenerentola della medicina, date le poche armi di cui i medici disponevano per combattere quella malattia. Nel 1965, grazie ai contributi della borghesia industriale milanese, fonda l’Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro (AIRC), oggi la più importante charity italiana. Nel 1994 gettò le basi per la costituzione a Milano dell’Istituto Europeo di Oncologia (IEO), di cui è stato direttore scientifico fino al 2014, realizzando quel connubio tra assistenza sanitaria, ricerca clinica e ricerca di base che, nella sua idea, era l’unica arma per giungere a una soluzione definitiva contro il cancro.  Nella sua lunga e straordinaria vita, fra i tanti riconoscimenti, ha ricevuto 14 lauree honoris causa ed è stato candidato al Premio Nobel per la Medicina nel 2006.

«Ho vissuto in pieno – ha raccontato lui stesso -, soprattutto nel lungo periodo di clandestinità durante la Resistenza, la violenza dissennata della Seconda guerra mondiale, fui gravemente ferito e sono uno dei pochi sopravvissuti allo scoppio di una mina, su cui saltai mentre scappavo da un’imboscata nemica…Da principio volevo fare lo psichiatra, per capire in quale punto della mente nascesse la follia gratuita che poteva causare gli orrori di cui ero stato testimone. Avvicinandomi alla medicina, però, incappai in un male ancora più inspiegabile della guerra: il cancro. Così, sfidando la rassegnazione che allora imperava, decisi di indagare se attraverso la conoscenza e il sapere si potesse vincere quell’immenso e assurdo dolore».

Aveva una visione lucida e chiara del futuro, molto ancorata al mondo reale, di cui era un osservatore attentissimo e una grande fiducia nelle possibilità della scienza medica di curare in maniera definitiva il cancro, e questa non è mai venuta meno anche di fronte a risultati a volte inferiori alle aspettative. Ma era anche assolutamente convinto che, oltre a guarire più pazienti, sarebbe stato necessario ridurre l’incidenza di questa malattia. E da qui nasce il suo costante impegno nella prevenzione, a cominciare dagli stili di vita, con un messaggio quasi quotidiano sulla necessità di combattere l’abitudine al fumo, sui princìpi di una sana alimentazione, sull’importanza di condurre una vita attiva, sulla opportunità di fare controlli periodici anche sulla popolazione sana al fine di anticipare la diagnosi.

Durante la sua carriera, il professor Veronesi ha curato chirurgicamente più di 30.000 donne seguendo il principio che prevede l’adattamento dell’estensione e l’intensità del trattamento al “minimo necessario” per ottenere un risultato terapeutico adeguato; in questo modo ha evitato di sottoporre le pazienti a terapie troppo intense o troppo estese, diminuendo gli effetti collaterali.

Per il professor Veronesi, infatti, il malato era semplicemente un cittadino, una persona, che doveva affrontare una sfida che non si era cercata, ma rimaneva persona. In altre parole uno dei suoi grandi insegnamenti che si è fatto strada, almeno in parte, nel corpo medico è che, nonostante la malattia la persona va considerata in quanto individuo, nella sua interezza e complessità.

Era anche un uomo di straordinaria cultura, leggeva moltissimo. Era solito dire di essere fortunato in quanto dormiva poco e questo gli consentiva di avere più tempo per la lettura e il pensiero. La straordinaria figura di medico e ricercatore scientifico non adombra la marcata personalità di un uomo capace di lasciare un segno forte e positivo anche in ambito familiare. Nel corso della sua lunga vita Umberto Veronesi ebbe 7 figli (e 17 nipoti), alcuni dei quali impegnati anch’essi in campo medico, a cominciare dal primogenito Paolo che alla guida della Fondazione ha raccolto l’eredità del padre. A raccontare la sua dimensione familiare sono le parole della moglie, Sultana Razon Veronesi. «È sempre stato un papà molto liberale con i figli: nella nostra casa non sono mai esistiti proibizioni e doveri imposti. Contava soltanto l’esempio educativo che i bimbi imparavano dal nostro comportamento, dal nostro lavoro e dai discorsi intelligenti che sentivano in casa. Se sono arrivati dove sono oggi, lo devono all’appoggio incondizionato che hanno avuto in famiglia: soprattutto a opera del padre, che non li ha mai sgridati e li ha sempre sostenuti nelle loro scelte. Umberto è stato un padre meraviglioso per tutti loro e per me un marito splendido, che mi ha sempre lasciato la possibilità di occuparmi del mio ospedale e dei miei bambini». E, ancora: «Umberto amava la musica. Appena poteva, andava ai concerti al Conservatorio di Milano e a vedere le opere alla Scala. Dopo la nascita dei nostri primi tre figli, iniziò a prendere lezioni di musica e di chitarra, allora aveva ancora qualche ora libera. Poi impose ai figli, man mano che arrivavano ai sei anni di età, di studiare la musica. Tutti i ragazzi impararono a suonare la chitarra, due di loro anche il pianoforte. A casa nostra si sentiva suonare musica classica quasi tutto il giorno, soprattutto alla sera: quando i ragazzi avevano finito i compiti e Umberto rientrava a casa. Altre sue passioni erano la poesia, la storia, il cinema, la scienza: suo vero pallino, esteso a molti ambiti oltre la medicina. Per rilassarsi leggeva poesie in italiano, in inglese, in francese, in spagnolo e in russo».

Sono numerose le battaglie etiche e sociali che il chirurgo milanese ha condotto con tenacia durante tutta la sua vita a favore di un atteggiamento privo di pregiudizi nei confronti delle innovazioni scientifiche e delle questioni sociali. «La cultura deve sempre accompagnare il progresso della scienza, perché i suoi risultati non appaiano lontani dal fine ultimo della ricerca scientifica, che è il miglioramento della qualità di vita dell’uomo – dichiarava Veronesi al quotidiano “La Repubblica”, in un’intervista del 2014 –. Se questo fine è ben chiaro, appare assurdo opporsi per principio all’applicazione della genetica in agricoltura e sembra invece ragionevole studiare, per ogni prodotto cosiddetto Ogm, il rapporto tra rischi e benefici». E, ancora «L’ingegneria genetica non è una bacchetta magica per risolvere i problemi dell’umanità, ma è un metodo estremamente intelligente per combattere la fame nel mondo, per ridurre l’impatto dei pesticidi, per contrastare la desertificazione».

In nome del suo grande rispetto per la libertà individuale, nel 1995 Veronesi aderì alla campagna per la depenalizzazione e la legalizzazione delle droghe leggere. Il suo scopo ultimo era il raggiungimento di una regolamentazione dei derivati della canapa che ne consentisse l’utilizzo terapeutico, in particolare nella terapia del dolore.

«La vita è un diritto, non è un dovere», dichiarava Veronesi in merito alle sue posizioni in materia di eutanasia e testamento biologico, argomenti sui quali ha scritto il libro Il diritto di morire: la libertà del laico di fronte alla sofferenza (Mondadori, 2005). Per questo, da medico e da ministro della Sanità, si batté per giungere alla determinazione di una legge sulla formalizzazione delle volontà anticipate (testamento biologico) che consentisse alle persone di fare una scelta consapevole sui trattamenti di fine vita. La legge è stata approvata pochi mesi dopo la sua morte.

Anche sul fronte politico, l’impegno di Umberto Veronesi si è esteso a una miriade di attività istituzionali rilevanti: la sua elezione al Senato della Repubblica Italiana e la sua nomina a ministro della Salute sono stati eventi eloquenti nella vita politica del Paese, che hanno contribuito a incrementare il peso specifico del suo carisma nel ridefinire argomenti di grande interesse per la salute pubblica ai massimi livelli istituzionali. E, non ultimo, va ricordato lo sforzo fatto nel far approvare la legge antifumo (entrata in vigore durante il mandato del suo successore), il cui impatto sulla riduzione del consumo di tabacco, soprattutto nei luoghi pubblici, è stato particolarmente significativo.

Guardò sempre alla vita in maniera “olistica”, preoccupandosi della persona, del mondo e della vita nella loro totalità: sapeva cogliere tutte le sfaccettature, soppesare i pro e i contro, amava l’osservazione attenta, andava all’essenza delle cose e delle vicende umane. E così, nel rispetto di questa capacità e filosofia, arrivò ad abbracciare e a promuovere il vegetarianesimo.  «Una alimentazione corretta e sana – spiegava in ogni occasione pubblica – varia, equilibrata, a prevalenza vegetale, oltre a soddisfare le necessità nutrizionali dell’organismo, nutre anche la sfera psicologica e di relazione.» Con questa affermazione, semplice e diretta, il professor Veronesi spiegava e supportava il concetto di salute promosso fin dal 1984 dall’Organizzazione Mondiale della Sanità che lo ha definito «uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, e non la semplice assenza dello stato di malattia».

Il prof. Franco Cavalli, oncologo di fama mondiale, ricorda come una delle principali imprese di Umberto Veronesi sia stata la realizzazione della European School of Oncology (ESO) con sede a Bellinzona, avvenuta grazie a un lascito molto generoso della famiglia Necchi, che viveva a Lugano. I due luminari della medicina si incontrarono al Monte Verità di Ascona, quasi a farsi ispirare dall’atmosfera magica di quel luogo. «Lui convocò alcuni tra i più noti oncologi europei e fu così che nel 1982 nacque la Eso, di cui alcuni anni fa ebbi l’onore di riprendere il timone sin lì tenuto con maestria da Umberto…Egli seguì molto da vicino lo sviluppo dell’oncologia ticinese, che considerava come un possibile modello di un approccio olistico ai tumori, a partire dalla diagnosi sino alla terapia, e che abbracciava inoltre un intero territorio, superando così le mura di un istituto».

Umberto Veronesi decise nel 2003 di far nascere una fondazione legata al proprio nome. La Fondazione Umberto Veronesi per il Progresso delle Scienze si occupa di finanziare la ricerca scientifica d’eccellenza (nei campi dell’oncologia, della cardiologia e delle neuroscienze). «C’è un atteggiamento antiscientifico che inizia a farsi strada tra gli Italiani: ecco perché ho deciso di dare vita a una fondazione», è la risposta che dava il chirurgo a chiunque gli chiedesse perché, alle soglie degli ottant’anni, avesse deciso di lanciarsi in una nuova sfida. La Fondazione svolge un’attività che corre lungo due binari che nascono paralleli, ma che spesso finiscono per incrociarsi: l’erogazione di fondi per sostenere progetti di ricerca, oltre che l’attività dei ricercatori, e le iniziative di divulgazione scientifica. Dal 2015 la Fondazione pubblica inoltre la rivista “The Future of Science & Ethics”, che ha l’ambizione di diffondere la cultura scientifica e di promuovere il dibattito sul progresso delle scienze e sull’innovazione tecnologica, nonché sull’etica della ricerca, sulla bioetica, sui diritti umani e sulle grandi questioni socio-economiche e politiche che accompagnano la globalizzazione.

Durante tutte la sua vita Umberto Veronesi ha operato, combattuto, insegnato, divulgato nella convinzione che il progresso scientifico abbia aperto (e aprirà sempre più) nuove opportunità, ma anche sfide inedite e profondi dilemmi morali che vanno governati. Servono scienziati che sappiano maneggiare materie nuove e urgenti: perché, come ha sempre testimoniato con il suo esempio, «la conoscenza è l’unica risposta possibile per la sopravvivenza dell’umanità».