In un periodo dove il tempo non basta mai ci si rende conto che alcune abitudini pandemiche riescono a semplificarci la vita, anche se i contatti umani restano fondamentali. Intervisto Fabrizio Cieslakiewicz via Skype e forse proprio perché tutti noi ci stiamo abituando a questi incontri virtuali, la chiacchierata diventa subito spontanea.

Ma lei come sta vivendo questo momento?

«Difficile dirlo perché alla fine questa pandemia ha cambiato la vita a tutti noi. Non nascondo che causa parecchio stress sia nella vita lavorativa sia nel privato, perché siamo preoccupati e nessuno di noi è sereno come poteva esserlo prima. Inoltre, anche le attività di svago sono molto limitate e quindi questa pressione viene sentita maggiormente. Questo non significa che dobbiamo essere negativi, dobbiamo riuscire a tener duro. Quando supereremo questo momento storico, che verrà ricordato dalle generazioni future, sono convinto che torneremo ad apprezzare tutto quello che banalmente faceva parte della quotidianità».

La sua banca ha giocato un ruolo in prima fila durante la concessione dei crediti Covid…

«Sì, anche perché il ruolo di BancaStato è scritto nella nostra legge di istituzione. La nostra banca si impegna da sempre a sostenere l’economia e il risparmio dei ticinesi e di fronte ad una situazione che ha messo in difficoltà molti di noi ci siamo attivati il prima possibile. Oltre ai crediti Covid garantiti dalla Confederazione, abbiamo agito ad esempio finanziando il programma “Vivi il tuo Ticino”, teso a sostenere ristoranti e alberghi ticinesi. Ad esempio, i buoni “Gusta il Ticino” consegnati a tutti i residenti che li hanno richiesti, permettevano di cenare ovunque in Ticino. Dei 6,2 milioni di franchi stanziati, oltre quattro di questi sono stati effettivamente utilizzati, significa che abbiamo concretamente aiutato famiglie e ristoratori. Inoltre, a fine anno abbiamo elargito una speciale donazione a favore di associazioni che operano sul nostro territorio».

Vicinanza ai cittadini, al Ticino, cosa pensa della politica o dei politici in questo particolare periodo che li vede quotidianamente sollecitati e chiamati a reagire…

«Difficile giudicare, anzi penso che non si debba giudicare: i politici fanno politica e io faccio un altro mestiere. Il problema è che molti criticano quello che, di fondo, non conoscono. Questa pandemia ha toccato tutto il mondo e, sinceramente, sarebbe stato difficile non sbagliare, non commettere errori, perché in ogni momento qualcosa cambia e quello che fai oggi domani può essere sbagliato. La seconda e terza ondata hanno dimostrato che abbiamo imparato molto dalla prima, ma non abbastanza, nel senso che siamo confrontati con scenari nuovi, come quello delle numerose varianti, non prevedibili».

In fondo l’umanità è stata confrontata periodicamente con influenze devastanti…

«Sì, come possiamo leggere nei libri di storia eventi come questi si ripresenteranno anche in futuro. Quindi è importante che una volta superata questa pandemia e tornando alla normalità non dimenticheremo e ci impegneremo a lasciare un vademecum per le prossime emergenze sanitarie. E a quelli che continuano a criticare chiederei cosa farebbero di diverso: sono sicuro che nessuno troverebbe valide alternative».

Torniamo a lei, immagino le manchi molto non seguire dal vivo la sua squadra del cuore…

(Sorride) «Sì, questa è una grande rinuncia anche perché io sono nato a Piotta, proprio di fronte al campo di ghiaccio dov’è nato l’Ambrì-Piotta e quindi l’hockey ha fatto da subito parte della mia vita, così come per la maggior parte di chi è nato nel comune di Quinto; lo abbiamo nel DNA. Ho imparato a pattinare fuori casa, quando, dopo le nevicate, si creavano delle pozze di ghiaccio. Avevo i pattini con due lame, ricordo come se fosse ieri quanto mi divertivo».

E il freddo?

«Quando nasci in Alta Leventina al freddo ti abitui subito. Ricordo che andavamo ad allenarci precedendo la prima squadra e una volta aveva nevicato così tanto che per permettere alla squadra di giocare la sera abbiamo passato ore e ore a spalare la neve. Sono ricordi che non dimenticherò mai (emozionato)».

Come molti giovani sportivi anche lei aveva il sogno di fare dell’hockey una professione?

«È sempre importante seguire i propri sogni. Ho giocato nella sezione degli Juniori Elite e poi ho fatto parte dei quadri nella nazionale under 16 e under 18.  Purtroppo poi mi sono fatto male ad una spalla, ho saltato scuola, allenamenti… e quando inizi ad andare male negli studi e nello sport la situazione diventa difficile. Un giorno mio papà, rientrando a casa in auto e dopo aver visto i giudizi di carnevale, si fermò davanti alla Valascia e mi disse: “Oramai, caro mio, con le spalle che ti ritrovi è meglio che ti concentri sugli studi”».

E ha smesso così…

«A dire la verità no, non è stato tanto facile. Inizialmente ho continuato a giocare nelle leghe minori e poi quando sono andato a Losanna per continuare gli studi sono entrato nella squadra universitaria».

Sempre come difensore?

«Eh sì, con la mia corporatura non avevo molta scelta (ridiamo). Comunque, alla fine, ci crederà o no, il Losanna mi ha proposto un contratto in serie B. Ero felicissimo, soprattutto di poter finanziare anche i miei studi. Peccato che, quando sono arrivato a casa dai miei e ho comunicato il tutto, mio papà non è stato altrettanto contento e mi ha detto: “Tieni l’hockey come hobby e continua a studiare”. Ho seguito il suo consiglio e ho terminato l’Università».

Mi scusi ma il suo cognome, Cieslakiewicz, visto che lei è nato in Ticino, che origini ha?

«È di origine polacca e in ogni caso non si preoccupi per la domanda perché me la fanno spesso. La mia nonna paterna era di Giornico, mentre il nonno era polacco, era fuggito con la sua famiglia durante la Seconda guerra mondiale e si erano trasferiti in Francia; dopo aver combattuto sulla “Ligne Maginot”, mio nonno si è poi rifugiato in Svizzera. In ogni caso in Francia ho ancora dei parenti che hanno cambiato il cognome Cieslakiewicz in Chelaque e si trovano nella zona della Dordogna. Mentre da parte di mia mamma la famiglia era emigrata dalla Valle di Blenio e da Claro a Parigi. Mia mamma è arrivata in Leventina, da parenti, quando aveva vent’anni e lì ha conosciuto mio papà che lavorava alle ferrovie. Si sono sposati e trasferiti a Göschenen; pensi, da Parigi a Göschenen… doveva veramente essere innamorata (sorride). In ogni caso la mia storia è una storia europea come molte altre e ho radici profonde in Ticino, soprattutto nell’Alto Ticino».

Ma il suo cognome le ha mai giocato contro?

«Con il mio cognome all’età di 25 anni sono stato eletto sindaco di Quinto, un paese rurale e radicato al proprio patriziato. Con questo penso di aver detto molto e per questa ragione sarò sempre molto riconoscente a tutti coloro che mi hanno sostenuto. La mia esperienza mi porta a credere che dal punto di vista professionale il cognome non è stato un elemento discriminante».

Questo significa che è andato in banca subito dopo gli studi…

«Sì, ma non ero partito con l’idea di lavorare in banca… inizialmente volevo andare a studiare criminologia, perché ero molto appassionato di scienza e matematica. Ricordo che ero seduto all’Università con l’attuale capo della polizia scientifica di Ginevra, il professore entra nell’auditorio e ci dice: “Buongiorno, oggi siete qui in 300 a Natale sarete in 60”. Allora è nato un dubbio e sono andato a fare economia politica (ride)».

E la politica?

«Inizialmente lavoravo in banca e per la politica, ho fatto per 12 anni il sindaco, ma poi crescendo professionalmente mi sono concentrato sull’attività bancaria. Le assicuro che non mi annoio mai, devo naturalmente sempre essere aggiornato, informato. È un lavoro tutt’altro che monotono. A volte si rischia addirittura di allontanarsi dalla realtà e proiettarsi anche troppo nel futuro, basti pensare che a livello strategico il 2021 è già passato e la mente corre già agli anni successivi».

Dobbiamo preoccuparci?

«È difficile fare previsioni proprio perché, come ho detto prima, l’evoluzione di questa pandemia non è prevedibile. Penso che il giorno in cui verranno tolte tutte le restrizioni ci sarà un’euforia incredibile, un boom legato soprattutto all’economia di consumo. Per vedere i veri effetti dovremo però aspettare il 2022, il 2023. Solo tra uno o due anni capiremo chi dovrà raccogliere i cocci o chi effettivamente è riuscito a superare la crisi».

Non si legge molto della sua vita privata, è sposato o ha figli?

«Ho due splendide figlie e sono uno dei tanti divorziati. Con Giulia e Rachele sono comunque riuscito ad instaurare un bel rapporto e sono molto felice, penso che i figli siano qualcosa di importantissimo e vadano sempre messi al primo posto. Noi come persone evolute dobbiamo riuscire a far progredire la nostra società e quindi sempre evitare di far soffrire i figli e fornir loro delle solide basi famigliari sulle quali possano crescere diventando adulti responsabili e sereni».

Abita sempre a Quinto?

«Certamente! Percorro ogni giorno cinquanta chilometri di strada per arrivare a Bellinzona e cinquanta per tornare, ma lo faccio in modalità rilassata, all’andata mi preparo mentalmente alla giornata e alla sera faccio il defaticamento, come uno sportivo, ma in auto (divertito)».

Lei è una persona sempre pronta a rimettersi in gioco, con molti interessi e passioni…

«Assolutamente. Mi piace sciare, ho un appartamento a Carì dove vado spesso, ma mi piacciono molto anche le Dolomiti. Vado in rampichino, anche perché amo la buona cucina e se non sto attento accumulo, come gli orsi, anche se io lo faccio durante l’inverno (ride). Inoltre, so che qualcuno non condividerà, mi piace praticare l’arte della caccia, in modo responsabile, riflessivo non tanto per sparare, perché per quello ci sono gli stand di tiro».

E poi grazie a sua figlia più piccola ha scoperto anche di amare i cavalli…

(Ride). «L’ho fatto per lei, perché non è facile gestire un cavallo! Ho anche conseguito il brevetto per poter imparare a portarlo in giro, accudirlo, pulirgli gli zoccoli, metterlo sul van (un’impresa)… quindi sì, per poterla seguire durante le manifestazioni mi sono rimesso in gioco e ne sono felice. Penso sia importante che i ragazzi abbiano una loro passione e la seguano, l’equitazione permette loro di rafforzare l’autostima, avere un senso di responsabilità e comunque confrontarsi con un animale di seicento chili non è proprio evidente…».

Quando parla delle sue figlie, dei giovani, la sento molto tranquillo e ottimista…

«Non voglio essere critico, penso si sia capito, neanche per quanto riguarda i giovani i quali si creeranno il loro futuro. Sta a noi adulti saperli indirizzare, far capire loro quali sono i valori principali della vita, come il rispetto. Quando eravamo ragazzini nessuno si aspettava che avremmo fatto questa intervista via Skype oppure che saremmo stati tanto attaccati a questi cellulari. Ieri sera volevo rivedermi un film e voilà, l’ho rivisto, con una facilità impensabile solo pochi anni fa. Trovo che la generazione dei nostri giorni abbia saldi valori, mi auguro che riescano a capire che nella vita indietro non si può tornare e che sappiano utilizzare la propria intelligenza non solo per massimizzare il proprio profitto finanziario, ma il proprio benessere di vita».

Lei pensa resteranno segnati da questa pandemia…

«Non dobbiamo essere negativi, dobbiamo credere in loro, complimentarci, anche perché nell’ultimo anno hanno dovuto rinunciare a molto, ma lo hanno fatto e la maggior parte di loro segue le regole, esattamente come gli adulti. Per loro è stato un sacrificio non vedere amici e divertirsi con ragazzi della loro età. L’importante è che come genitori e come insegnanti riusciamo a far capir loro quanto siamo fortunati a vivere in Svizzera. Sono convinto che questo sia il Paese più bello del mondo, con una politica fatta di compromessi e non lotte».

Cosa farà quando tutto questo finirà?

(Silenzio) «Sa che non lo so… forse un viaggio a Parigi perché sono anni che non ci vado ed è una città che amo molto. E poi la festa dei miei cinquant’anni! Che ho clamorosamente saltato nel 2020».

E se tutti noi facessimo nostro il consiglio rivolto da Fabrizio Cieslakiewicz ai giovani? Utilizzare l’intelligenza umana non solo per massimizzare i profitti finanziari, ma per migliorare il nostro benessere di vita.