Prima dell’emergenza coronavirus, abbiamo chiesto a Pietro Veragouth, direttore del Sidi, di definire questa criticità e di ipotizzare percorsi di crescita che consentano di superarle. In generale, il Ticino dell’impresa si delinea come un quadro in chiaroscuro, composto di luci e ombre, e queste ultime ci devono preoccupare.

Il mercato cambia, ed è destinato a cambiare sempre di più e sempre più rapidamente. È una frase che si sente ripetere molto spesso. Com’è attrezzato il Ticino per far fronte al mercato che cambia?

«Non c’è dubbio, dobbiamo fare i conti con un mondo sempre più globalizzato, connesso, mutevole, privo di barriere e in costante accelerazione; in estrema sintesi, sempre più competitivo. Nel panorama ticinese sono molte le realtà, anche belle realtà che oggi appaiono molto solide, che se non decidono di aprirsi al cambiamento corrono il grave rischio venire emarginate. La storia, purtroppo, è piena di esempi in questo senso, ad ogni latitudine e certamente anche alla nostra».

Ma se è così ovvio che un’azienda debba innovare, perché non lo fa?

«Una bella domanda, ma attenzione, prima di tutto va chiarito un punto, che spesso sfugge e che rende più facile rispondere alla sua domanda. Quando si parla di innovazione si tende a pensare alla tecnologia, all’aggiornamento tecnologico dei processi produttivi, logistici, commerciali, ecc. Ebbene, si tratta di un’accezione riduttiva e fuorviante. Occorre rendersi conto che l’innovazione investe soprattutto i modelli di business, gli approcci al mercato, le modalità di creazione del valore.

Allora, e rispondo alla sua domanda, è la “cultura d’impresa” che va ripensata. Spesso, in Ticino, si presentano situazioni un po’ paradossali in cui l’azienda diventa vittima del suo stesso successo: non disponendo di una visione prospettica, l’azienda tende a perpetuare comportamenti che in passato si sono rivelati virtuosi. Solo che la realtà del mercato cambia, e i mercati sono sempre più fluidi e dinamici. L’azienda tende a svilupparsi investendo sulle aree di maggior profitto, ma l’attenzione si concentra su uno specifico momento di mercato. Il mercato e i competitor però cambiano – com’è noto, o almeno dovrebbe esserlo –, e a un certo punto l’azienda si trova senza certezze. Ecco che le fondamenta che sembravano così solide incominciano a mostrare cedimenti e crepe. A questo punto, è un classico, subentra il panico e la situazione si fa critica: le risorse economiche vanno a tamponare le falle, si naviga a vista, si perde la serenità necessaria per mettere in atto un piano B, si innesca insomma un nefasto circolo vizioso. Questo tipo di risposta genera due effetti negativi che si sommano: l’azienda si sente “obbligata” ad allocare risorse nella direzione più sbagliata e così facendo non riesce a investire in strategie che la aiuterebbero a risolvere il problema, aprendo vie nuove. Rompere questo circolo vizioso è possibile, anzi, è vitale. Ecco, io credo che sia proprio qui che il nostro contributo potrebbe essere davvero importante. E le dirò di più. Io credo che il Sidi potrebbe essere certamente utile all’azienda in difficoltà, ma più ancora all’azienda che oggi sta vivendo una condizione di mercato positiva. È proprio questo il migliore momento per programmare un solido futuro a partire da analisi lungimiranti e strategie efficaci».

Quali sono le realtà più a rischio?

«Con tutti i limiti della sintesi, potremmo catalogare le realtà ticinesi in tre macro-categorie: abbiamo quelle che operano in Ticino ma hanno la testa da un’altra parte, quindi le filiali o le realtà di emanazione internazionale o d’oltralpe, generalmente ben equipaggiate sia dal punto di vista della visione che della strategia. Poi abbiamo le realtà ticinesi più strutturate e dalle quali noi del Sidi avremmo più che altro da imparare. Infine ci sono quelle che, appunto, per motivi anche molto diversi, non si rendono conto della situazione, credono che non sia necessario investire risorse in analisi strategiche di sviluppo, oppure semplicemente vorrebbero ma non sanno come intervenire. Dal momento che per realizzare questo cambiamento è necessaria la consapevolezza e la volontà di farlo, abbiamo deciso di orientare le nostre energie negli ambiti in cui è possibile ottenere dei risultati concreti, rivolgendoci a target specifici».

A quali profili vi rivolgete?

«Abbiamo individuato tre profili, includendo anche realtà che non appartengono al mondo dell’impresa privata, perché in Ticino c’è tutto un capitolo “sviluppo del territorio” che va certamente affrontato attingendo alla cultura d’impresa. A queste tipologie di imprenditore e/o amministratore (ndr. li abbiamo inseriti nei box azzurri) crediamo che il nostro supporto possa davvero rivelarsi importante.

Intraprendere un percorso di rilancio richiede tempo, risorse e motivazione. Lo premettiamo con chiarezza: non esiste nessuna bacchetta magica. Quello che però sappiamo con altrettanta certezza è che le soluzioni esistono, sempre, e possono essere diverse e a differenti livelli d’impatto. La nostra proposta di valore, tuttavia, non è quella di trovare una buona soluzione, ma la migliore soluzione possibile. La soluzione cioè che offra le migliori garanzie di successo non solo nel breve ma anche e soprattutto nel medio-lungo termine».