Un giovane che sceglie di fare un’esperienza di studio, lavoro o di stage in un altro Cantone o Paese, non è un problema, perché rappresenta un’opportunità ed è la cosa migliore. Se c’è un mondo che non dovrebbe conoscere confini nazionali, raziali o di genere è proprio il mondo della formazione, della ricerca e dell’innovazione. Perciò, attenzione alla retorica sui “cervelli in fuga” e giovani. Più che parlar di fuga dovrebbe essere uno scambio: così come ai nostri giovani si offre la possibilità di andare altrove, noi dovremmo essere in grado di accoglierne altri o dare la possibilità ai nostri di rientrare e di trattenerli sul territorio. Ovviamente, quando si tratta di una fuga obbligata allora è un fallimento! Se fossimo a questo punto saremmo davvero messi male. Consola il fatto che l’interrogativo delle ragioni di questa emigrazione, in realtà, se lo pongono da tempo quasi tutte le nazioni europee, americane e asiatiche, ancor di più i paesi del terzo e quarto mondo.
Laddove vi sono i migliori atenei, le migliori aziende, le migliori condizioni di lavoro e migliore qualità di vita per sé e per la famiglia, vi è una maggiore migrazione di talenti. Un tempo la meta per eccellenza erano gli Stati Uniti, mentre oggi è in atto una vera e propria competizione ovunque nel mondo, sulla caccia di capitale umano, di cervelli, perché si è compreso che possono essere il vero motore di crescita sociale e culturale di un Paese. Insomma, chi offre il meglio, si accaparra le migliori risorse. Su cosa puntare quindi?
Eccellenza nella formazione: la qualità degli atenei è fatta in primis dal “nome” dei professori, dai progetti di ricerca e dal grado di innovazione, dalla forza finanziaria, fattori che fanno la differenza per diventare un vero un polo attrattivo. Non dimentichiamo, inoltre, che la positiva sinergia tra politica, istituti di ricerca e formazione, mondo del lavoro e territorio rimane sempre la vera costante di sviluppo sociale e culturale, aumentando la reputazione e il ranking dei nostri atenei nelle classifiche internazionali.
Accoglienza e apertura: leggi sull’immigrazione non restrittive e pratiche meno burocratiche. Riuscire a creare un ambiente culturale inclusivo (per le persone e le loro famiglie), dimostrando di essere una società più aperta e lungimirante. Studenti e ricercatori non sono strani soggetti da tenere nelle riserve, lontani dalla vita sociale.
Flessibilità delle aziende: la flessibilità e l’adattabilità delle aziende ai cambiamenti del mercato, con valori aziendali inclusivi, favoriscono l’arrivo di talenti. Le aziende che investono su un ambiente di lavoro propenso alla formazione interna dei giovani diplomati, con una remunerazione secondo la loro competenza, cercando di investire ed innovare, hanno maggiori chance di crescere.
Azione politica: il compito della politica è quello di facilitatore e non di controllore. Certo, il Cantone sta facendo molto, adoperandosi allo sviluppo di centri di eccellenza, parchi scientifici e distretti industriali. Andrebbero però tolti quei paletti burocratici che bloccano le imprese nel loro agire e supportare gli atenei perché possano progettare e partecipare ai programmi transfrontalieri ed internazionali (ricordiamo il programma Horizon Europe da cui la Svizzera rischia di essere esclusa). Però attenzione, non abbiamo bisogno di creare una sterile Silicon Valley con infinite start-up di cui si perdono le tracce. Sarebbe più importante saper premiare un vero progetto imprenditoriale che non sia solo un sogno. Come dice Umberto Galimberti: «Il sogno è una cosa bellissima se nel suo segreto racchiude un progetto che si può realizzare, altrimenti è un gioco di illusione». Solo così un circolo vizioso si trasforma in un circolo virtuoso capace di creare opportunità e massa critica di persone istruite e imprenditoriali che possano giungere da noi.