Le aziende sono sempre più digitali e interconnesse: la quarta rivoluzione industriale è iniziata e attende di dispiegare tutte le sue numerose opportunità. Le nuove tecnologie digitali, secondo un rapporto della multinazionale di consulenza McKinsey, avranno un impatto profondo nell’ambito di quattro direttrici di sviluppo: la prima riguarda l’utilizzo dei dati, la potenza di calcolo e la connettività, e si declina in big data, open data, Internet of Things, machine-to-machine e cloud computing per la centralizzazione delle informazioni e la loro conservazione. La seconda è quella degli analytics: una volta raccolti i dati, bisogna ricavarne valore. Oggi solo l’1% dei dati raccolti viene utilizzato dalle imprese, che potrebbero invece ottenere vantaggi a partire dal “machine learning”, dalle macchine cioè che perfezionano la loro resa “imparando” dai dati via via raccolti e analizzati. La terza direttrice di sviluppo è l’interazione tra uomo e macchina, che coinvolge le interfacce “touch”, sempre più diffuse, e la realtà aumentata. Infine c’è tutto il settore che si occupa del passaggio dal digitale al “reale” e che comprende la manifattura additiva, la stampa 3D, la robotica, le comunicazioni, le interazioni machine-to-machine e le nuove tecnologie per immagazzinare e utilizzare l’energia in modo mirato, razionalizzando i costi e ottimizzando le prestazioni.
Non solo. Esperti e osservatori stanno cercando di capire come cambierà il mondo lavoro, quali nuove professionalità saranno necessarie e quali invece presto potrebbero scomparire. Dalla ricerca “The Future of the Jobs”, è emerso che, nei prossimi anni, fattori tecnologici e demografici influenzeranno profondamente l’evoluzione del mercato del lavoro. Alcuni (come la tecnologia del cloud e la flessibilizzazione del lavoro) stanno influenzando le dinamiche già adesso e lo faranno ancora di più nei prossimi anni.
Cambiano di conseguenza competenze e abilità ricercate: nel 2020 il problem solving rimarrà la soft skill più ricercata, ma diventeranno più importanti il pensiero critico e la creatività. Proprio perché lo scenario è in rapida evoluzione, dobbiamo attrezzarci per cogliere i benefici dell’innovazione digitale. I centri di competenza avranno sempre più il compito di svolgere attività di orientamento e formazione alle imprese, nonché di supporto nell’attuazione di progetti di innovazione, ricerca industriale e sviluppo sperimentale finalizzati alla realizzazione di nuovi prodotti, processi o servizi, o al loro miglioramento tramite tecnologie avanzate.
Hanno partecipato:
Guglielmo Arrigoni
Direttore DigitalStrategies Academy
Alberto Antonioli
Managing Partner di BFK Digital
Cosimo Lupi
Sales and Marketing Consultant Securitas AG
Luca Tartaglia
Consulente e-services PostFinance
Jazayeri Puya
Project Manager Ticino Turismo
Moderatore:
Guglielmo Arrigoni
Guglielmo Arrigoni
«DigitalStrategies Academy è il progetto di formazione volto ad espandere nella Svizzera italiana la conoscenza del Web Marketing, offrendo gli strumenti necessari per il suo utilizzo come mezzo di comunicazione e business al servizio delle imprese. Siamo l’unica realtà formativa specializzata sul Digital Marketing in Ticino, che prepara anche agli Esami Federali Professionali e vuole sensibilizzare le aziende, i professionisti e gli studenti sulle tematiche che saranno il futuro del mondo imprenditoriale e lavorativo.
I corsi proposti formano nella comunicazione e il Digital Marketing, sia in aula che online. Offriamo inoltre la possibilità di seguire dei percorsi di formazione specifici a seconda del proprio interesse.
Vorrei dare alcuni dati che ci possono aiutare a comprendere il percorso fatto da quando nel settembre del 2016 abbiamo dato inizio alla nostra attività: 48 serate gratuite sul territorio dedicate ai diversi aspetti del marketing digitale; 24 corsi on line sul nostro sito; 43 corsi in aula, cui se ne aggiunge un altro in Web Project Manager, molto qualificato, per la preparazione all’Esame Federale Professionale. In sintesi, oltre 3000 iscritti on line e 850 partecipanti in aula per una scuola che non ha ancora tre anni di vita.
Da ultimo, mi piace citare il nostro più recente progetto e cioè l’avvio da pochi giorni del progetto “Scuola on line”, che consente una formazione continua per chi non può partecipare alle lezioni in aula ma desidera approfondire le sue conoscenze collegandosi al sito da casa propria, secondo le modalità che preferisce».
Alberto Antonioli
«Credo sia necessario partire da una semplice domanda: la digitalizzazione è un fenomeno globale e pervasivo o siamo ancora ad una dimensione locale? La risposta varia a seconda della prospettiva in cui ci poniamo. Se confrontiamo i livelli di digitalizzazione dell’economia e della società con la popolazione mondiale vediamo che molte aree del globo sono ancora all’inizio di questo processo, ma il fatto che se ne parli con sempre maggiore continuità è il segno che la digitalizzazione dell’impresa è ormai entrata in una seconda fase, di presa d’atto collettiva, che segue quella in cui la stessa ha fatto ingresso in fabbrica e in ufficio senza troppo clamore.
Mi limiterò dunque a segnalare alcuni aspetti sui quali è necessario porre la nostra attenzione di operatori del mondo delle risorse umane: attengono ad ambiti differenti, che presentano però ampie aree di intersezione. Innanzitutto, gli effetti che le nuove tecnologie stanno provocando e provocheranno nel prossimo futuro: non c’è dubbio che i nuovi strumenti che la digitalizzazione ha sviluppato abbiano creato già alcuni profondi cambiamenti. Le aziende digitalizzate, per esempio, sono già oggi quelle che presentano una più marcata focalizzazione sulle esigenze del cliente, utilizzano meglio la multicanalità per comunicare e valorizzare la propria offerta di prodotti e tendono a al proprio interno a robotizzare tutte le attività a basso valore aggiunto.
Per quanto riguarda poi i ruoli aziendali coinvolti in un processo di digitalizzazione aziendale, occorre dire che non sarà la quantità di investimenti in IT che farà la differenza, ma la capacità di ciascuna azienda di comprendere la propria fase di maturità e di sviluppare una strategia chiara e un’efficace road map per potenziare i propri differenziatori chiave utilizzando le tecnologie digitali. L’attenzione, come sempre, deve essere sulle persone. Questo dovrebbe essere assolutamente chiaro. La quarta rivoluzione industriale, se accettiamo di chiamarla in questo modo, non si riferisce alla tecnologia di per sé, ma all’adozione di tecnologie che aiutino le persone a prendere decisioni più efficaci, più informate e più veloci. Non è la disponibilità di grandi quantità di dati che farà la differenza, ma la capacità degli utenti di sfruttare tali dati, trasformati in informazioni, per essere veloci e precisi nel prendere decisioni. La tecnologia può semplificare, aiutare o addirittura automatizzare la comunicazione, ma la flessibilità e l’efficienza provengono dalle persone. Per questo motivo, nessuna delle trasformazioni legate all’adozione di queste tecnologie può avvenire senza un cambiamento organizzativo, adeguando la mentalità delle persone e migliorando i comportamenti e la cultura aziendale».
Luca Tartaglia
«PostFinance è uno dei principali istituti finanziari in Svizzera ed è il partner affidabile per oltre tre milioni di clienti privati e commerciali che desiderano amministrare autonomamente le proprie finanze. Come gruppo finanziario, PostFinance è annoverata tra le banche di rilevanza sistemica. Fattori decisivi a tal fine sono l’importanza dell’istituto finanziario nelle operazioni di deposito nazionali e la sua forte posizione nel traffico dei pagamenti in Svizzera. La classificazione come banca di rilevanza sistemica sottolinea l’importanza di PostFinance per il sistema finanziario svizzero e contribuisce alla sua stabilità e a un’economia svizzera forte.
La storia di PostFinance inizia nel 1900 con l’istituzione del primo «servizio dei conti correnti e delle girate. Nel 1906 nasce il traffico dei pagamenti, ma bisogna poi attendere fino al 1971 per vedere avviato il sistema delle polizze di versamento con un numero di riferimento (SPVR) è un servizio avveniristico nel suo settore. Al 1978 risale l’introduzione dei Postomat e al 1991 quella della Postcard, mentre tre anni prima era avvenuto il lancio del Telegiro PTT: il precursore di yellownet permetteva il pagamento elettronico tramite Videotex.
Con yellownet, nel 1998, inizia l’era di e-finance, il servizio che trasforma PostFinance nell’indiscusso numero 1 «dell’e-banking». Nello stesso anno la Posta intraprende un’importante riforma con l’obiettivo di migliorare e assicurare l’erogazione su tutto il territorio svizzero di servizi postali convenienti e del traffico dei pagamenti, sia alla popolazione che agli attori economici.
E veniamo ai giorni nostri. Nel 2003 PostFinance diventa istituto finanziario retail e nel 2010 presenta la prima App per iPhone gratuita. Nell’estate 2014 viene poi fondata TWINT come società affiliata di PostFinance. Dopo un inizio brillante, la prima app integrata della Svizzera per lo shopping e i pagamenti si fonde nel 2016 con Paymit. L’obiettivo perseguito è identico: una soluzione di pagamento standardizzata e intelligente per il traffico dei pagamenti digitale in Svizzera. Nel 2017, infine, nasce il nuovo sito web postfinance.ch»
Oggi siamo quanto mai attenti a seguire e partecipare a quei progetti che possono introdurre innovazione all’interno delle aziende. Per fare solo un esempio, il nostro laboratorio dell’innovazione vede diversi esperti lavorare a idee e progetti che riteniamo avere un grande potenziale per il futuro. Uno di questi progetti è «B4U» (Blockchain for Utility), elaborato ed esaminato in collaborazione con Energie Wasser Bern (ewb), finalizzato allo studio di come fatturare energia elettrica utilizzando la tecnologia blockchain e come, in questo modo, i proprietari di case potrebbero in futuro guadagnare soldi e risparmiare tempo».
Cosimo Lupi
«Le recenti votazioni e le relative campagne politiche hanno confermato, se ancora ce ne fosse stato bisogno, che i media tradizionali rivestono ancora oggi un ruolo preponderante nella propaganda politica, ma i social sono diventati un terreno per sperimentare una comunicazione più diretta con l’elettorato attraverso l’uso di un linguaggio più immediato e la possibilità di costruire una narrazione di sé che sia coinvolgente e con la quale l’audience possa facilmente identificarsi. È infatti grazie ai social media se assistiamo a un cambiamento nel modo di interagire online tra elettore ed eletto, se è possibile non solo veicolare contenuti in una maniera più fruibile ma anche studiare la propria audience basandosi su una serie di dati analitici disponibili in tempo reale, capaci di restituirci una visione complessiva dell’evoluzione di uno scenario politico, di un territorio, di un candidato e dei suoi potenziali elettori.
Gli utenti social diventano sempre più il nucleo centrale della strategia di ogni azione politica, da cui ormai non si può prescindere. Cambiano le forme e le strategie di comunicazione online e sempre più il personaggio politico che decide di essere sui social è soggetto alle stesse “regole” che vengono applicate a qualsiasi brand. Diventa fondamentale, allora, riporre la massima attenzione a ciò che si vuole comunicare e al modo in cui lo si fa, perché un semplice post di Facebook di cattivo gusto o un tweet sbagliato possono diventare delle armi pericolose nella mani di chi comunica e conduce una campagna elettorale, scatenando un vero effetto boomerang sull’immagine del candidato o del partito che rappresenta.
Se guardiamo a ciò che è accaduto negli USA ci rendiamo conto di come Donald Trump abbia utilizzato questa strategia politica in cui i social media hanno ricoperto un ruolo predominante, determinando la sua vittoria elettorale. E questo nonostante le mille gaffe, i post polemici o volti a disprezzare i suoi ‘nemici’, di cui Twitter è stato un po’ l’emblema e il protagonista. Non viene da sorprenderci, quindi, che la sua vittoria era già stata decretata su queste piattaforme, ancor prima di arrivare alle elezioni.
Ma già prima di lui, l’allora candidato in corsa alle presidenziali, Barack Obama, aveva ben colto l’importanza dei social, tanto da metter in piedi una delle campagne mediatiche più significative, in cui l’uso magistrale dei social media fu determinante per l’imposizione della propria agenda. Grazie ad una narrazione incentrata sulla sua figura come sinonimo di cambiamento, Obama arrivò a costruire una intera rete di fan/elettori che lo aiutarono a vincere prima le primarie e poi la competizione per la presidenza.
Di fronte a quest’uso spregiudicato dei media digitali che ci viene dagli USA, emerge con ancora maggiore evidenza la timidezza se non addirittura il ritardo con cui la classe politica svizzera, e a maggior ragione quella ticinese, approcciano le nuove tecnologie, preferendo piuttosto affidarsi a tradizionali strumenti di comunicazione quando non al contatto personale “porta a porta”. Ma il paradigma è definitivamente cambiato e la digitalizzazione rappresenta ormai un fatto irreversibile cui anche i nostri politici dovranno prima o poi adeguarsi».
Guglielmo Arrigoni
«Vorrei partire da una semplice considerazione: oggi il consumatore è diventato Consum-Attore. Ciò significa semplicemente che una volta il marketing classico focalizzava la sua attenzione sui prodotti/servizi, sottolineando la maniera in cui questi potevano migliorare la vita del consumatore. Questo approccio, forse ancora valido per prodotti standardizzati o di largo consumo, per i quali il fattore prezzo risulta centrale, è ormai superato per tutte quelle imprese che vogliano differenziarsi dai propri concorrenti.
Si pone quindi l’attenzione sugli aspetti extrafunzionali del prodotto/servizio, sull’ esperienza associata alla sua fruizione. Questo innovativo approccio mira a superare le concezioni classiche e a far sì che l’esperienza d’acquisto coinvolga intimamente il consumatore. E ciò indipendentemente dal tipo di bene che si offre; può trattarsi di una proposta commerciale in senso stretto, di un museo, di un evento, della promozione di un territorio o di un libro. Conta l’esperienza che si è in grado di offrire.
Il cliente non è sempre razionale nelle sue scelte d’acquisto ma è guidato anche da fattori emotivi; è alla ricerca di esperienze d’acquisto e di consumo che siano coinvolgenti e piacevoli. In un mercato strutturato e complesso come è quello delle moderne società, al consumatore non interessa più soltanto la massimizzazione dell’utilità, ma cerca esperienze d’acquisto che lo coinvolgano e lo rendano protagonista della scelta fatta. Diventa “consumAttore”, acquista un prodotto non solo per soddisfare un bisogno funzionale, ma anche per trovare appagamento nel suo utilizzo.
Il marketing viene allora concepito come un processo che coinvolge diversi elementi: bisogna prima attirare l’attenzione, stimolare o ricreare determinati stati d’animo e sentimenti, associati alla marca; creare stimoli collegati all’intelletto e alle capacità di problem solving degli individui; invitare all’azione e mettere in relazione l’individuo con sé stesso e altre culture.
Non mi stancherò mai di ripetere che la relazione con il cliente deve essere costruita a partire dal marketing e non affidata soltanto al commerciale. È il marketing che acquisisce il contatto di un potenziale cliente. E nella costruzione di questo rapporto una tendenza va consolidandosi sempre più: l’utilizzo di programmi o applicazioni per diffondere contenuti promozionali e commerciali tipici dell’email marketing. Questa tendenza, ancora oggi in evoluzione ed espansione, viene identificata come relazione tra l’utilizzo delle email e le chat. Si tratta di programmi che simulano la conversazione umana, automatizzando appunto le conversazioni con gli utenti. O, nel caso delle aziende, con i clienti curando così, ad esempio, il customer care service o altri servizi chiave. L’obiettivo comunque è sempre mettere al centro l’uomo ed usare quindi la tecnologia al nostro servizio per ottenere risultati concreti.».
Il Dibattito
Jazayeri Puya
«Siamo entrati nel mondo digital con molta gradualità, senza mai abbandonare i media più tradizionali ai quali continuiamo a fare ricorso. In ogni caso attualmente le nuove figure professionali legate alla digitalizzazione e ai social media portano un rilevante valore aggiunto all’azienda. Le sfide che abbiamo davanti riguardano da un lato la necessità di far dialogare tra loro i numerosi dati che quotidianamente rileviamo operando su più piattaforme; dall’altro, il miglior utilizzo del customer journey cioè quel processo che caratterizza l’interazione tra consumatore e azienda. Questo “viaggio”, che parte dal bisogno di un prodotto/servizio, termina con l’acquisto del prodotto Ticino che, come è noto sconta una forte concorrenza sul mercato nazionale e nel confronto con gli altri Paesi».
Alberto Antonioli
«La digitalizzazione ha un impatto non soltanto sui processi ma anche sulle modalità di collaborazione e sulla mentalità all’interno dell’azienda. Quanto più i collaboratori sono entusiasti del processo in atto, tanto più la trasformazione digitale sarà attuata con successo. In questo quadro sempre più complesso un ulteriore elemento potranno avere un ruolo non secondario: l’empatia e l’intelligenza emotiva. Esse sono ancora patrimonio dell’uomo (sebbene vi siano in corso progetti volti a renderla “artificiale”) e potrebbero esser la chiave di lettura per mantenere la supremazia della persona sulle macchine; così come le stesse potranno decifrare per tempo l’insorgenza di problemi etici e di risolverli».
Luca Tartaglia
«Non è necessario correre dietro a ogni tendenza e a ogni tecnologia ma realizzate soltanto i progetti di digitalizzazione che apportano benefici ai propri clienti, ai collaboratori o partner commerciali. Tali vantaggi possono essere ad esempio un processo di ordinazione più semplice nello shop online per i clienti, un flusso di informazioni più efficace tramite uno strumento community per i collaboratori e una migliore logistica grazie a un processo automatizzato per i partner commerciali. A tal fine occorre chiarire di cosa hanno veramente bisogno – e di cosa invece no – i rispettivi gruppi target e qual è il loro livello di soddisfazione nei confronti dei progetti di digitalizzazione già realizzati».
Cosimo Lupi
«Per mettere in atto una strategia di comunicazione politica performante sui social media, è importante anche capire cosa non fare, onde evitare dei veri e propri passi falsi in grado di inficiare in maniera profonda la credibilità di una formazione politica o di una figura istituzionale. I social media non sono un surrogato del bar, o almeno non devono caratterizzarsi in tal modo quando si parla di comunicazione politica. Una campagna di comunicazione politica online è un impegno con la propria utenza, sia per quanto riguarda la qualità dei contenuti diffusi, sia per quel che concerne la costanza nella pubblicazione. La comunicazione politica di qualità è frutto di un processo strategico dedicato anche alla scelta dei social migliori su cui essere presenti. Una volta che i profili e le pagine sono stati attivati e sono diventati un punto di riferimento per il target, abbandonarne uno o più senza lasciare alcun tipo d’indicazione relativa alla chiusura o alla creazione di un altro spazio significa minare quello che è un rapporto di fiducia, e togliere punti al personal branding. Quando ci si muove online e si punta al successo non basta una brand equity forte, ma è necessario avere in mente quelle che sono le strategie basilari per ottenere tale risultato, e per concretizzare un percorso strategico che possa diventare case history».