Dalle origini – i natali in Ticino e la formazione tra Milano e Parigi – attraverso il suo pensiero al tempo stesso filantropico e borghese, per arrivare all’opera, sincera e coerente ma anche colta e spontanea, il concetto di molteplicità è nel suo caso pluralità di apporti e apertura mentale, in grado di trarre stimoli positivi da ogni situazione.
Matteo Bianchi, nipote di Luigi, erede materiale e spirituale del pittore, aveva le idee chiare quando, nel 1999, si è rivolto agli architetti Edy Quaglia e Emilio Bernegger. L’incarico non sarebbe stato solo un’opera di architettura ma anche e soprattutto il gesto di riconoscenza e affetto verso il bisnonno, la materializzazione di un sogno che da personale doveva divenire collettivo.
Gli architetti presero subito alcune decisioni importanti: demolirono il vecchio Garni che occupava una gran parte del terreno, liberando la vecchia villa di inizio ‘900, posizionarono la nuova costruzione lungo l’asse nord sud e approfittarono dei necessari rinforzi di un muro di sostegno della casa vicina per creare una vasca d’acqua.
Il nuovo volume rettangolare, fortemente introverso, permette dall’interno diverse visuali, ognuna delle quali con un carattere specifico: agreste dal soggiorno verso il giardino, meditativo dalla cucina verso la vasca d’acqua, paesaggistico dalle camere verso i Denti della Vecchia.
Nelle indicazioni di Matteo Bianchi vi era naturalmente anche quella di avere grandi superfici a disposizione per disporre le opere e per poterle apprezzare. Le diverse tipologie che compongono la collezione avevano inoltre bisogno di differenti accorgimenti in relazione alla tecnica di realizzazione. Ecco allora il grande spazio a doppia altezza del soggiorno per le tele ad olio di grandi dimensioni, il corridoio di distribuzione delle camere che si trasforma in galleria con piccole aperture rotonde che creano un’illuminazione indiretta che non danneggia i disegni e le incisioni, il vano scala che permette di apprezzare in tutta la loro altezza le opere disposte sul lungo muro verso est dotato di luce zenitale proveniente da lucernari che si trasformano in lampade quando manca l’apporto del sole.
Lo studiolo, in posizione centrale rispetto allo sviluppo dello spazio casa/museo, funge da fulcro del sistema espositivo permettendo di affacciarsi sul soggiorno a doppia altezza, di ammirare la parete di fronte alla scala e di accedere alla galleria – corridoio della zona notte.
Tutto l’edificio funziona perfettamente come abitazione, con locali spaziosi, ben illuminati dalle ampie aperture, distribuiti correttamente tra piano terra e piano primo, ma si trasforma efficacemente in museo quando, ogni primo sabato del mese, apre le porte ai visitatori, che si aggirano interessati tra gli ambienti potendo ammirare uno spazio vitale e stimolante.
Proprio questo è stato il senso del lavoro svolto dagli architetti in stretta collaborazione con il committente: creare un’ambiente vivo e stimolante, accogliente per viverci e funzionale per lavorarci, un luogo che partendo dall’opera di Luigi Rossi, attraverso i contributi degli artisti, anche contemporanei, che compongono la collezione attuale, possa divenire fonte di nuove ispirazioni.
Testimoniano questa attività le pubblicazioni di Pagine d’Arte, casa editrice curata da Matteo Bianchi e Carolina Leite. Oltre ad Atlante di Luigi Rossi c’è Parvenze, il recente lavoro di Katia Piccinelli, che a partire da immagini di Rossi elabora una serie di disegni evocativi con tratto sottile e raffinato.
Una casa espositiva che, come l’opera di Luigi Rossi, trae dalla molteplicità le ragioni della sua essenza. Un’architettura che, come la pittura, combina spazio, luce, composizione, contenuto narrativo e simbolico, aspetti sociali, dimensione onirica e fantastica per esprimere un’idea.