Alcuni sogni hanno bisogno solo di tempo per diventare reali. È capitato ad una professionista in campo immobiliare che aveva avuto occasione di visitare il cantiere della sua futura casa a Melano già nel 2008. In quegli anni l’architetto Nedo Caneva, il cui studio continua l’attività a Melano nonostante la sua prematura scomparsa, stava lavorando sul progetto di recupero della vecchia filanda del paese.
Un pezzo di storia, eretta intorno alla metà dell’800 su progetto dell’architetto Luigi Fontana, con lo stesso stile classicheggiante di un’altra sua opera famosa, l’ospedale di Mendrisio, ora sede dell’Accademia di Architettura.
Proprio perché importante testimonianza, il restauro della Filanda non poteva che essere un lavoro impegnativo dove alle consuete difficoltà che derivano dal metter mano ad una struttura con un passato storico, si aggiunsero ostacoli di carattere normativo e procedurale che costrinsero Caneva ad un iter progettuale e di direzione lavori complesso e a volte sofferto.
Il sogno si concretizza nel 2010, due anni dopo la prima visita al cantiere, quando la necessità di cambiare casa riporta alla memoria, tra le tante proposte che per lavoro le sono capitate tra le mani, il ricordo di quello spazio visto a Melano. Dei 19 alloggi ricavati nella Filanda, era rimasto disponibile solo un’ultimo loft, forse il più particolare.
La parola “loft” è ormai entrata nel vocabolario comune e con essa si intende generalmente uno spazio residenziale ricavato in una struttura industriale, solitamente un unico grande ambiente con altezza considerevole.
Quando, a partire da gli anni ’70 e ’80 del secolo scorso, le mutate esigenze dei settori produttivi costrinsero molte industrie a riorganizzare la propria produzione in zone diverse da quelle di origine, si cominciò a pensare a come riutilizzare i vecchi fabbricati nati nei primo ‘900 o magari ancora più vecchi.
Scoperta negli Usa, passata in Inghilterra per approdare infine nella vecchia Europa continentale, l’opportunità per artisti giovani e meno giovani di accedere ad ampi spazi a prezzi contenuti divenne presto una moda e come tale fu seguita anche dalle fasce più abbienti della borghesia urbana.
E se il carattere promiscuo di casa laboratorio era stato inizialmente una reale necessità, lo stesso divenne poi pretesto fino ad essere completamente ignorato per concentrare la destinazione alle sole funzioni abitative.
Pur vicina alla Lombardia, dove il fenomeno investe una buona percentuale di ex edifici industriali, la regione del Ticino non ha registrato quel boom di riconversioni che avrebbero permesso il patrimonio edilizio da una parte e la congiuntura sociale e produttiva dall’altra e se in Italia la pratica del recupero di edifici industriali ai fini abitativi è prassi ormai consolidata, da noi questa opportunità non è stata sfruttata come sarebbe stato possibile.
Proprio per le caratteristiche spaziali, la parola “loft” implica anche una diversa concezione dell’abitare, dove alle consuete suddivisioni della casa borghese di fine ‘800, riprese poi dall’edilizia urbana del novecento, si sostituiscono spazi fluidi e confini labili, che sembrano indicare e suggerire una possibile destinazione di utilizzo più che imporla.
Perché la nuova casa corrispondesse esattamente ai desideri e ai bisogni dei nuovi inquilini sono stati necessari alcuni cambiamenti tesi ad imprimere un carattere assolutamente personale allo spazio. La camera matrimoniale
è stata spostata sul soppalco aperto verso il soggiorno pranzo mentre quella originaria è diventata camera ospiti, la scala verso il soppalco segue un diverso andamento che permette di liberare un grande ambiente limitrofo alla cucina dove é stato poi sistemato il tavolo da pranzo. Sul tetto infine è stato ricavato un terrazzo panoramico che permette una visione a 360 gradi che spazia dalle case del nucleo alle pendici del Monte Generoso per arrivare alle rive del lago.
L’attenzione nei confronti della distribuzione interna si completa con una scelta di arredi di design ciascuno dei quali racconta un pezzo di storia: troviamo le sedie Zig Zag di Rietveld e le Tulip di Saarinen abbinate ad un tavolo ottocentesco che proviene da un convento francese, il divano Michetta di Gaetano Pesce a fianco delle poltrone LC2 di Le Corbusier, il tavolino Org di Fabio Novembre illuminato dalla lampada Fortuny di Mariano Fortuny, oppure un armadio nuziale cinese, nel particolare colore giallo invece del consueto rosso, contrapposto alla libreria Bookworm di Ron Arad.
Alla collezione di pezzi di disegno industriale si affianca la raccolta di opere d’arte scelte, che parte dagli svizzeri Carlo Cotti e Fritz Huf per approdare ad artisti come Lodola o Sweetlove, attraverso un percorso che non trascura pezzi arte africana.
Se la casa, in quanto spazio fisico e mentale, rivela – perché rispecchia – una parte molto profonda della personalità di chi la abita, possiamo ipotizzare che la sensazione di ampiezza e la mancanza di rigide divisioni di questa abitazione corrispondano all’apertura mentale e al desiderio di libertà della sua proprietaria.