Voce profonda, canzoni che arrivano dritte al petto, ed un sorriso che lascia trapelare l’entusiasmo di un ragazzino. Jack Savoretti, classe 1983, è un compositore e cantante di origini italiane. La sua famiglia immigrò in Inghilterra alla fine degli anni Settanta per questioni di sicurezza, dopo che il padre fu testimone di una rapina delle Brigate Rosse. È dunque in Gran Bretagna che Jack vive la sua infanzia, rientrando però ogni estate nell’amata Portofino per le vacanze estive: «Non c’è persona che non mi conosca in quell’angolo della Liguria, vi ho trascorso delle estati bellissime e sarà sempre un luogo speciale per me».
Come speciale fu Carona, paese in cui Savoretti si trasferì durante l’adolescenza e dove la sua famiglia si sentì accolta e abbracciata da tutti i suoi cittadini: «Ho dei ricordi meravigliosi di quel periodo, le persone sono state davvero speciali, soprattutto con mia madre che parlava una lingua straniera e si era ritrovata sola dopo la separazione da mio padre. All’epoca frequentavo l’Istituto Elvetico a Lugano, certamente un’ottima scuola, ma non essendo mai stato un ragazzo propriamente accademico…non funzionava benissimo. Poi abbiamo scoperto la Scuola americana a Montagnola, e per me è stata una svolta: hanno accettato il mio estro, la mia vena artistica, e mi sono potuto concentrare maggiormente sui miei punti forti. Sarò per sempre grato alla TASIS per avermi lasciato sfruttare il mio potenziale, non obbligandomi a seguire una strada che non sarebbe stata la mia». E così inizia il suo percorso artistico, un crescendo di successi che è davvero impossibile non conoscere ed apprezzare.
Con nove album all’attivo e decine di brani incisi, c’è un singolo al quale sei più legato?
«Difficile a dirsi. Probabilmente ti direi un titolo e cambierei idea tra cinque minuti. Però se mi chiedi del mio ultimo album, il brano che mi tocca maggiormente è Come posso raccontare, ed è anche il brano catalizzatore di tutto il mio ultimo lavoro, della ricerca della mia italianità, del significato che ha per me l’Italia, di ciò che mi manca del Bel Paese. Dopo la perdita di mio padre, ho sentito il forte bisogno di ritrovare una nuova identità della mia parte italiana, ed è proprio per questo motivo che mi sono imbarcato nell’avventura di studiarne e conoscerne la cultura in modo più approfondito per poter scrivere il mio primo album in lingua italiana, che è quella di mio padre».
Jack da anni scrive, compone e canta, ma tiene a precisare che ogni sua creazione è il frutto di un lavoro di squadra con altre persone, sarebbe impossibile fare tutto da soli. E proprio in queste sue innumerevoli collaborazioni troviamo nomi da capogiro come Kylie Minogue, James Blunt, Bob Dylan, Shania Twain, Elisa, per arrivare anche a Natalie Imbruglia e Zucchero (ma credetemi, l’elenco è ben più folto).
Come nascono questi duetti?
«Sono totalmente casuali, a volte gli artisti in questione sono miei amici, e da cosa nasce cosa. Ad esempio Natalie Imbruglia è una mia amica nonché vicina di casa, ed ha origini sicule. Quando ha saputo che stavo creando il mio primo album in italiano mi ha detto che anche a lei sarebbe piaciuto cantare un pezzo nella lingua dei suoi avi. Così, molto spontaneamente, le ho detto “Facciamolo assieme!”, e altrettanto spontaneamente lei ha accettato. Con Zucchero invece è stato diverso, l’ho conosciuto intervistandolo per la BBC, poi mi ha cercato per partecipare ad un suo tour e cantare una canzone con lui, ed io gli chiesto di poterla incidere ed inserire nel mio album. Lui ha approvato, e così abbiamo cantato assieme una delle sue canzoni storiche, Senza una donna. È stato semplicemente pazzesco».
Onestamente, non posso che dargli ragione, il duetto con Fornaciari è da pelle d’oca e sembra davvero riunire perfettamente due pezzi del puzzle della vita di Jack, il suo animo italiano unito al suo percorso britannico: «Totalmente. È raro che nella mia vita tutti i puntini si connettano in modo così sensato, ha stupito anche a me quanto tutto ciò fosse perfetto: nonostante vivessi in Inghilterra, sono cresciuto con questa canzone, e 30 anni dopo nel primo album italiano ho avuto l’onore di cantarla con Zucchero, è stato proprio figo (si può dire figo?)».
La famiglia di Savoretti ha una storia incredibile, che parla di politica, di arte e come per molti italiani, d’immigrazione.
In che modo questo bagaglio ha influito sulle tue creazioni?
«Tutto influisce. Non ho mai avuto la stabilità di una casa, ho avuto una vita scombussolata, e così sono sempre alla ricerca di una certa stabilità, con la necessità di creare qualcosa che nel momento mi dia il senso di controllo, la sensazione di avere la vita tra le mani».
L’aver vissuto in vari luoghi, può dare la sensazione di sentirsi a casa ovunque, e nello stesso tempo straniero ovunque, soprattutto dovendo relazionarsi con idiomi diversi.
In che lingua pensi?
«Penso in inglese, ma ultimamente avendo scritto l’album in italiano, sogno in italiano. Dunque, se dovessi risponderti con precisione, penso 80% inglese 20% italiano».
Per anni hai composto in inglese, mentre l’ultima tua creazione è in italiano: che differenze riscontri?
«L’italiano è più poetico, molto emotivo, mentre in inglese l’emozione è più diretta, meno favolosa. Fondamentalmente rispecchia la cultura: in Inghilterra le persone sono più dirette, l’italiano invece è più poetico, anche nel dramma o nella tristezza c’è estetica, c’è meraviglia. E questo l’ho imparato scrivendo: la lingua è essenzialmente cultura. Sembra scontato, ma solo componendo in italiano (che non è la mia lingua madre), mi sono accorto che ci sono dei modi di dire che cambiano negli anni e con la cultura del momento, ad esempio ci sono delle cose che 40 anni fa’ erano romantiche ed ora sono ridicole, o viceversa».
E sempre rimanendo nella penisola, impossibile non ricordare la stupenda esibizione di Jack Savoretti che, in qualità di ospite, assieme a Diodato ha incantato il prestigioso palco di Sanremo regalandoci un momento di pura poesia.
A noi piacerebbe molto vederti all’Ariston come concorrente, cosa ne pensi?
«Non lo so (ride). Sono molto grato di essere stato ospite a Sanremo, il palco è favoloso, l’Ariston è uno spettacolo. Ma la musica competitiva credo mi dia un po’ fastidio. La competizione in generale mi da fastidio. Per questo mi sono dato alla musica e non ho continuato con lo sport».
Eri uno sportivo?
«Sì, giocavo a calcio, ho anche esordito con il FC Lugano. Una breve parentesi prima di dedicarmi totalmente alla mia passione più grande».
La sua partecipazione a Sanremo rimarrà forse una nostra illusione, ma il palco del Teatro la Fenice a Venezia, quello è stato decisamente reale: «Mi do i pizzicotti ancora adesso, perché non ci credo che sia successo veramente. La Fenice a Venezia è forse il Teatro d’opera più bello al mondo assieme alla Scala di Milano, e vi ho suonato assieme a con Kylie Minogue: era il 2018 ed è stato incredibile. Ti confesso che l’unica foto di lavoro che ho in casa rappresenta proprio quella serata».
Oltre alla carriera come artista (e possiamo dirlo senza esitazioni: affermato), Jack ha anche una moglie bellissima e tre bimbi.
Che tipo di padre sei, più nordico o più italiano?
«Dovresti chiederlo a loro (ride). Però sì, sto diventando sempre più italiano. Anzi, ti dirò di più, il primo sentore d’italianità l’ho avuto proprio con la mia primogenita. Mia moglie è molto inglese, e mi ha stupito come sin da subito eravamo in disaccordo su piccole questioni, ad esempio quando fuori faceva freddo io insistevo per metterle un golf, mentre mia moglie replicava dicendo di non metterglielo perché l’aria fresca fa bene. In quei momenti mi sono accorto quanto i miei nonni e mio padre, con le loro origini e l’educazione che mi hanno impartito, mi abbiano in realtà influenzato anche nel mio essere padre».
Jack Savoretti stupisce per quanta spontaneità e sincerità riesca ad infondere con le sue parole. E a dire il vero è proprio quello che ci trasmette, divinamente, anche con la sua musica.