Quella che in passato era una strada trafficata e grigia si è trasformata in un’oasi verde. Ad accogliermi il profumo di essenze aromatiche. Piove, ma Via della Posta è decorata come ogni giorno, un salotto all’aria aperta, ho l’impressione di essere in uno spazio atemporale… entro nel primo negozio, pensando di annunciarmi a un venditore e con sorpresa vedo Maurizio Romano impegnato a creare un bouquet. La musica, rilassante, completa l’atmosfera. Iniziamo a chiacchierare…

Devo dire che non mi aspettavo di trovarti al lavoro anche durante la pausa pranzo…

(Sorride) «Il mio occhio deve esserci sempre, sono convinto che un proprietario debba assumersi tutti i ruoli all’interno di un’azienda, così come faccio io… ora mi trovi dietro il bancone, domani potrei essere al telefono a finalizzare un matrimonio. Sai, per me è normale controllare le finiture, i dettagli di tutto quello che esce dai miei negozi, anche perché molti clienti vogliono esclusivamente me, li ho abituati così. Preferisco dunque stare qui, mangiare un panino in piedi, e gestire il negozio in presenza».

Oggi hai un vero e proprio quartiere DAHRA a Lugano. Quattro negozi, nove dipendenti, questa via è irriconoscibile…

«Sì, sono molto soddisfatto. Se penso che ho iniziato nel 1995 in Via Peri con un negozio di arredamento… e solo dopo ho aggiunto accessori fino a proporre fiori e piante, il percorso è stato intenso. Mai avrei immaginato che sarebbero diventati il mio business principale e la ragione per cui ogni mattina mi sveglio entusiasta (sorride rilassato). Qui (apre le braccia) ho riunito trent’anni di sapere, di studio, di sacrifici e di tante soddisfazioni».

Con la tua attività hai regalato del verde a una città come Lugano, forse un contributo che a molti passa inosservato…

«Ho voluto fare un regalo a me e alla città in cui abito. Non potrei vivere senza essere circondato dalla natura. Per me il momento più piacevole della giornata è il mattino presto, quando arrivo in negozio. Mi rendo conto che a poco a poco la fauna si sta riprendendo il suo spazio in città e ne sono molto felice. Gli uccellini arrivano, prendono i rametti, cinguettano e le persone passano di qua anche solo per rilassarsi. Secondo me il verde nella città è indispensabile, tutti noi dovremmo favorirlo per un benessere psicofisico generale».

Prima mi dicevi che non hai mai smesso di studiare…

«La mia vita è una continua ricerca, un continuo studio, non mi sento mai arrivato, non mi sento mai bravissimo, sono sempre un gradino indietro… non è una visione pessimistica, ma fa parte della mia personalità: sono una persona desiderosa di fare sempre meglio quindi sì, mi sento bravo, ma mai bravo abbastanza. Anche quando termino un lavoro mi dico: “Sì, carino, ma avrei potuto osare di più, fare di più”. Poi lo riguardo a distanza di anni e realizzo che in effetti era molto bello».

Cosa riesce a ispirarti ogni giorno, anche perché la tua è una creazione continua, attimo dopo attimo…

«La natura, l’arte, i viaggi, mi lascio ispirare da tutto quello che mi circonda, anche dai miei errori, da un rametto caduto per caso tra le foglie o da un vaso che si rompe e lascia della corteccia per terra. Devo dire che la maggior parte degli eventi e dei matrimoni li organizzo con i miei clienti, ascolto le loro parole, i loro gusti, mi faccio ispirare direttamente da loro. Seguo sempre delle tendenze, anche perché la moda è presente in tutti i settori, ma allo stesso tempo le mie creazioni sono su misura e uniche per quel preciso istante».

Il tuo rapporto con i clienti… come ti poni con loro? Anche perché mi sembra di capire che sei determinato nelle tue scelte…

(Ride) «Devo ammettere che ho una vendita aggressiva, quando ho capito il concetto che può funzionare combatto per portarlo avanti, perché ci credo, non per cocciutaggine. A volte, con i clienti che hanno già delle loro idee senza però conoscere il mestiere, le cose si fanno più difficili, anche perché, se non esiste un rapporto di fiducia, è difficile dare il massimo. Quando dico il massimo intendo quell’aggiunta dell’ultimo minuto che rende tutto magico, irripetibile. Questo non toglie che le linee guida possano essere decise assieme in partenza, ma poi l’effetto sorpresa non può mancare. Sai… la mia testa cambia di giorno in giorno, nulla è mai statico lavorando con la natura, è questo il bello del mio lavoro e bloccare questo fluire di idee è un vero peccato».

Scusami ma chi ti ha trasmesso questa passione, questo tatto con cui tocchi i fiori?

«Sai che non lo so, nel senso che da bambino ho sempre detestato i fiori. Ricordo mia mamma che mi chiedeva di metterli nei vasi e a me non piaceva… anche perché soffrivo di forti allergie primaverili e quindi detestavo la natura. Nell’arco degli anni però, non so come, mi è nata questa passione. Immagino me l’abbia trasmessa mia mamma, senza rendersene conto inizialmente, anche perché siamo legati da molti interessi comuni… l’arredamento, la moda e naturalmente i fiori».

Cosa dice lei oggi?

«È molto fiera, sicuramente è molto fiera» (silenzio).

Il bianco, se penso a te vedo il bianco…

«Il bianco sono io. Infatti, ho aperto il secondo negozio per mettere i fiori colorati, ma io nella zona dei fiori colorati non ci sto. Mi piacciono, però non sono miei, non mi appartengono. È così».

Bianco, verde, essenze ricercate e musica rilassante. Com’è casa tua?

«Casa mia è tutta grigia, se ci sono dei fiori sono naturalmente bianchi. Per il resto ho optato per tonalità grigie, bianche e color cammello. Il parquet è quindi grigio, ma ho inserito nella tinta una punta di verde particolare, così come le pareti perlate. L’arredamento… l’ho curato nel minimo dettaglio, anche perché era il mio lavoro, la mia prima passione».

Non ti manca arredare?

«A dire la verità in parte minima lo faccio ancora, solo per i clienti con cui ho un ottimo feeling, perché tutto quello che è bello mi piace quindi il poter completare una casa con gusto e classe è qualcosa che continua a darmi grande soddisfazione».

Sai negli ultimi anni il commercio a Lugano è cambiato molto, alcuni negozi hanno chiuso, altri si sono trasferiti, mentre tu sei riuscito a espanderti…

«Grazie al cielo (ride), ma sai perché? DAHRA è in continua evoluzione, non sono come trent’anni fa, sono cambiato, sono cresciuto, io dopo un mese sono stufo, quindi stravolgo tutto, smuovo i negozi, la gente entra in ambienti sempre differenti e secondo me questa scelta è vincente. Tu mi chiedi perché io sto qui nove, dieci ore… perché in questo tempo riesco a smontare un negozio, a cambiarlo… il tempo mi vola. Sai questo disordine-ordine piace alla gente, le mie boutiques non sono mai perfette, sono vissute, sono in continuo movimento… si respira aria di creazione, di energia vitale».

Ti descriveresti come una persona irrequieta?

«No. Sono molto sereno sai, molto zen, irrequieto no. Tranquillo questo sì, socievole e se vedo una problematica la sistemo con calma. Ero così anche da bambino, combinavo grandi casini, ero allegro, ma già a quei tempi zen».

Mi racconti un po’ del tuo passato, della tua famiglia?

«Sono nato a Como da una famiglia che si occupava di moda, mio padre era fotoincisore, quindi, preparava quadri per la stampa di foulard e accessori, aveva come clienti grandi marchi – Etro, Hermès, Gucci, Chanel – anche perché a quei tempi Como era la città della seta. Io passavo le estati da papà per guadagnare qualche soldo, avevo già le mie idee per quanto riguardava la moda e volevo essere indipendente negli acquisti, quindi – per necessità e piacere – ho sempre avuto a che fare con tessuti e colori. Ma devo dire che la mia scuola più grande è stata Etro a Milano. Lì sono passato dall’arredamento alla moda, mi sono avvicinato al mondo della profumeria e tutto il mio sapere di oggi lo devo alla famiglia Etro, che mi ha supportato e mi ha fatto crescere all’interno della sua azienda».

Poi però hai scelto di venire a Lugano…

«Perché ero di Como e i viaggi su Milano erano estenuanti, passavo ore in auto e a un certo punto non ce la facevo più. Anche perché la qualità di vita, in un lavoro comunque stancante fisicamente, è importante negli anni».

Ma perché non Como?

«Troppo provinciale. Si dice tanto di Lugano, ma trent’anni fa lo era molto di più Como. Tutti gli industriali non volevano frequentare negozi di un certo livello, non volevano far vedere che spendevano perché erano comunque legati ad aziende della moda e quindi preferivano andare a Milano o venire a Lugano. Infatti, molti habitué di Milano vivevano a Lugano, quindi quando sono arrivato qui avevo già delle grandi famiglie luganesi come clienti».

Posso chiederti anche della tua vita privata?

«Certamente. Sono sposato da due anni con Luca. Da tre anni lui si occupa della parte profumeria, sono molto felice. Mi sono sposato tardi, ho aspettato, e ora mi sento completo».

Il fatto di avere un marito ti ha mai creato problemi?

«Guarda ti parlo apertamente: a tredici anni ho scoperto di essere gay e l’ho detto ai miei genitori e alle mie due sorelle. Vivevo comunque in un paesino e non ti dico cosa mi dicevano per strada… ma ho sempre camminato a testa alta, convinto delle mie decisioni. In ogni caso tutte quelle persone che mi hanno deriso in passato sono diventate amiche mie… penso che essere prevenuti sia sinonimo di non conoscere, perché quando tu spieghi che hai dei sentimenti, che sei una persona normale, la gente intelligente ti capisce e ti apprezza per la tua essenza».

Vedo che molti tuoi clienti sono anche amici, non è in un certo senso pericoloso dare troppa confidenza sul lavoro?

«Per me è normale, anche perché quando entro in casa di qualcuno, nel tempo, è inevitabile che si instauri un rapporto di amicizia. Diventi parte della famiglia, condividi i momenti più importanti come gli anniversari e i matrimoni. Figurati che ora sto seguendo la quarta generazione… non mi sembra vero».

I tuoi fiori sono sempre bellissimi, così come le tue piante, immagino ci sia una ricerca continua dei migliori fornitori…

«I miei fornitori attualmente sono in Olanda. Un paio di volte all’anno li visito, guardo i loro prodotti, mi assicuro che siano di ottima qualità e se non sono soddisfatto… li sostituisco. Le consegne avvengono più volte la settimana, anche perché tutto deve essere freschissimo. Anche in questo caso le cose sono cambiate, in passato tutto arrivava da San Remo, ma ora l’Olanda è imbattibile, ottimo livello e ben organizzata, precisa».

Che tipo di moda influenza la scelta dei fiori?

«La moda tocca soprattutto le piante. Per esempio, i ficus lyrata erano delle piante che non venivano guardate da tantissimi anni e ora sono tornati di moda. Il tutto viene deciso dagli architetti di interni, quindi devi andare ai saloni del mobile e dell’architettura per capire quali saranno le tendenze, se ad esempio gli architetti decidono che sarà l’anno delle calle… noi venderemo prevalentemente calle».

Immagino che comunque tu non ti faccia unicamente influenzare dalla moda…

«Assolutamente no, le mie creazioni, i miei acquisti rispecchiano quello che sono io in quel momento, ci sono anni dove prediligo gli amaryllis, altri i tulipani oppure le peonie… e di conseguenza tutto quello che mi circonda ne viene influenzato (sorride). Inoltre, prediligo i fiori stagionali, anche perché amo la natura e ne rispetto il suo ritmo naturale. Dall’altra parte però ho i clienti che, chi più chi meno, si ispirano alla moda e quindi il mio compito è quello di trovare un giusto equilibrio e soprattutto personalizzare il prodotto con la mia firma».

Spesso si pensa che il fiore sia un lusso e si decide di poterne fare a meno…

«Il fiore è un lusso nel momento in cui ti compri dei fiori tutte le settimane per la casa. Nel momento in cui scegli e offri un mazzo di fiori… regali un sorriso e dai un momento di gioia a qualsiasi persona».

Sempre in movimento, sempre alla ricerca del miglioramento, immagino tu abbia delle idee anche per Lugano…

«Credo che bisognerebbe dare un po’ più di spazio ai commercianti sulla strada, nel senso che se Lugano diventasse più aperta ne trarremmo vantaggio tutti. Vedo che l’esposizione in strada ti permette di lavorare molto di più, perché la gente si ferma, ti fa domande, si crea un rapporto con il passante. Guarda gli spazi terrazza che hanno concesso ai bar, è stato un passo avanti, dettato dalla pandemia, ma pur sempre qualcosa di bello, peccato che ora vogliano toglierli… non capisco».

Il tuo lavoro si avvicina all’arte: l’ispirazione, la creazione e le emozioni che ti circondano…

«Presumo di si, infondo penso di essere un’artista. Io vivo di emozione, per me tutto è emozione. Dalla mattina quando apro il negozio… i colori, la luci, la natura».

Come gestisci lo stress quando ci sono grandi eventi da organizzare?

«Non dormo, scendo all’alba in negozio, ho sempre paura di non arrivare in tempo, di non finire in tempo, che non sia abbastanza bello, di non avere abbastanza merce. Sembro molto sicuro, ma in realtà ho sempre un po’ di ansia da prestazione. Però alla fine ci arrivo sempre e se manca qualcosa… me la invento. Poi quando finisce il tutto, cade l’adrenalina, mi ci vuole qualche giorno per riprendermi» (divertito).

Se qualcuno ti fa una critica?

«Ci sono critiche costruttive e altre fatte per gelosia, quelle costruttive le accetto con piacere (comunque non subito, ho bisogno prima di stabilizzarmi), alle altre non do peso».

Un sogno?

«La ristorazione mi intriga da tempo. Vorrei creare un ambiente dove puoi entrare, leggerti un libro in mezzo alla natura, in mezzo al verde… è un’idea che mi balena nella testa da molto. Devo però trovare il posto giusto e anche i collaboratori adatti, anche perché non è il mio lavoro, questo lo devo dire. Io so come far uscire un piatto, il tipo di menu che vorrei, ho le idee chiare su come apparecchiare una tavola, che tipo di arredamento scegliere, ma per quanto riguarda il cibo avrei bisogno di qualcuno che mi gestisse la parte del food. Nessuno è tuttologo e di conseguenza apprezzo molto i professionisti che si concentrano a fare il loro lavoro senza voler intromettersi in quello degli altri».

Saluto Maurizio, anche perché i clienti sono molti e la porta continua ad aprirsi. La sensazione è quella di lasciare un’oasi di pace e ritornare alla realtà caotica cittadina, con tutti attaccati al telefonino, alla quale purtroppo ci siamo così abituati da viverla come normalità.