Ernst Ludwig Kirchner, più di ogni altro pittore tedesco della sua generazione, ha incarnato la figura dell’artista espressionista. L’immagine severa, per non dire drammatica, che egli ci ha lasciato di sé non deve tuttavia far scodare che è stato un artista dai grandi talenti, con un’alta considerazione del suo lavoro e del ruolo di assoluto protagonista da lui svolto nel rinnovamento della pittura del XX secolo. Per tutta la sua vita si è preoccupato di conferire un significato etico alla propria attività, di porre l’arte al servizio di un’idea. 

La grande mostra allestita al Kunsthaus di Zurigo intende ripercorre l’avventura di Kirchner focalizzando l’attenzione sul periodo di più intensa attività quando lasciata Dresda nel 1912 a si trasferisce a Berlino dove soggiornerà per alcuni anni raggiungendo l’apice della sua produzione artistica. Una ricerca che si sviluppa su un doppio, opposto binario. Da una parte la frenesia e il frastuono della grande metropoli, dall’altro il lento trascorrere del tempo e la serenità della vita di campagna apprezzata nei soggiorni a Fehmarn, remota isola nel Baltico dove l’artista trascorreva i mesi estivi.

Il confronto con la città e con le problematiche connesse ad uno sviluppo esasperato sono i contenuti privilegiati della ricerca di Kirchner i cui dipinti appaiono come il risultato ad un tempo del fascino e del rifiuto della vita nella capitale tedesca. Egli si confronta con i paradossi della quotidianità e con le problematiche connesse ad un progresso sfrenato, alla crescita incontrollata dell’industria di una nazione, che si affaccia sul baratro di un conflitto mondiale, in cui regnano emarginazione e solitudine.

Kirchner non si spazia tuttavia sui temi di più facile presa ed evita di soffermarsi sulle tensioni sociali, sulla povertà diffusa, sul mondo del lavoro e sulle carenze abitative. Il contesto urbano diventa terreno fertile per l’indagine dell’artista dalle cui opere traspare una “sensibilità metropolitana” contraddistinta da un approccio aggressivo, da un’enfasi di fondpo e da un senso di costante dinamicità.

L’interesse dell’artista si concentrano sulle modelle all’aperto, sull’ambiente del varietà, sugli incontri ai caffè e, in uno spazio urbano alienante, dà vita alle sue straordinarie “scene di strada”, animate da eleganti emblemi di una Berlino senza scrupoli, disincantata e ammaliatrice.

Questa attenzione per gli aspetti alienanti della città moderna appare evidente in Friedrichstrasse Berlin del 1914, uno dei dipinti più rappresentativi di quegli anni e dell’intero movimento espressionista. La scena è dominata da un gruppo di figure femminili vestite di nero e di blu, con cappello piumato, veletta e scarpe dal tacco alto, con lunghi abiti che accennano appena la femminilità delle forme. Allungate in verticale come da una lente deformante, tutte le linee del dipinto sono rigide, spigolose e taglienti. I tratti del volto delle donne in primo piano, il pennacchio di piume nere che adornano i cappelli: l’irrealtà dell’insieme è acuita dai colori acidi e antinaturalistici dei visi giallastri e della strada verde. 

Dipinti come questo o come La Rue, unitamente ad altri presenti in mostra tra le oltre 160 opere esposte provenienti dai maggiori musei europei e statunitensi presentati accannto a dipinti reperiti in prestigiose collezioni private e raramente esposti, rivelano in Kirchner un’inquietudine dalle radici profonde, un malessere diffuso, tale da indurlo, per fare da contrappunto a quest’analisi disincantata di una società dilaniata dai conflitti e all’uomo in contrasto con l’ambiente, a rifugiarsi in un luogo incontaminato nell’isola di Fehmarn, desideroso di immergersi in un ambiente incontaminato. In questa oasi della vita balneare realizza opere di grande freschezza, paesaggi idilliaci e figure nude sulla spiaggia impegnate in giochi e danze, contraddistinte da una un’inedita spontaneità d’ispirazione, da una scioltezza d’esecuzione attuata mediante pennellate decise e materiche che ricordano la lezione fauve approdando ad un cromatismo fortemente contrastato. 

Proponendo il confronto tra queste due “anime” del grande artista tedesco, l’esposizione rivela la complessità della personalità di Kirchner, l’eterogeneità del suo approccio alla realtà, la discontinuità dei suoi umori, propri di ogni fecondo spirito creativo. Allo stesso tempo prelude tuttavia alla crescente instabilità mentale dell’artista e al progressivo peggioramento delle sua condizioni di salute che lo indurranno a rinchiudersi sempre più in sé e a lasciare pochi anni più tardi la Germania per ritirarsi nella quiete di Davos.

I soggetti prediletti diventano gli alpeggi e i pastori, i boschi di abeti e le montagne, i pochi amici che salgono a trovarlo per lasciarsi andare ai ricordi…  È l’estremo tentativo di Kirchner di riavvicinarsi alla natura per catturarne le forze vitali ma soprattutto per trovare rifugio in un ambiente bucolico, lasciando a valle o fuori dallo chalet le ansie e le preoccupazioni suscitate dagli stravolgimenti e dai crimini della guerra.

Purtroppo l’angoscia della memoria e la consapevolezza di una società destinata inesorabilmente allo sfasci allo sono un fardello troppo pesante da sopportare per Kirchner che  il 15 giugno del 1938 si uccide sparandosi al cuore.