Un codice etico che, assieme a quelli di Atene, Stoccolma e Bruxelles, i professionisti della comunicazione “relazionale”, se possiamo definirli così, sono tenuti a rispettare. Quindi anche i membri della STRP. A seguito della mia nomina a presidente della sezione ticinese di pr suisse, ho pensato fosse utile rileggere questo documento (è disponibile sul sito di pr suisse). Non è lungo, né complicato, ma incredibilmente rilevante nel contesto attuale di un mondo sempre più caotico, polarizzato, finanche belligerante. E soprattutto pieno di spunti di riflessione riguardo alla società dell’iper-informazione (e della disinformazione) dominata dalla comunicazione digitale.
Già, la digitalizzazione. Benintesi, quella digitale è una rivoluzione fondamentale per l’umanità tanto quanto quelle precedenti. Basti pensare a quanti progressi tecnico-scientifici sono stati realizzati grazie ad essa. Ma sul piano sociale e relazionale, la comunicazione digitale ha avuto sì il grande pregio di connettere il mondo intero, ma ha anche creato, paradossalmente, molta distanza fra le persone. A scapito, fra le altre cose, delle relazioni sia private, sia pubbliche. Ed è per questo che i principi etici codificati nelle citate città europee vanno, a decenni di distanza, riscoperti e, soprattutto, applicati nella realtà quotidiana. Perché? Facciamo un breve passo indietro e riflettiamo su come operiamo come professionisti della comunicazione e anche come agiamo nella società come individui. Le due cose non sono poi così diverse, comunque, ma restiamo nel primo campo. Quante volte siamo rimasti delusi o frustrati da un atto comunicativo che non ha raggiunto l’obiettivo prefissato? Per esempio, un comunicato stampa ignorato, un “post” su un social media con poco impatto (engagement), se non addirittura nullo. Oppure, semplicemente, un messaggio e-mail (e successivi richiami) senza risposta. Per non parlare dell’annosa questione della partecipazione agli eventi – un tema, ahimé, che riguarda anche la STRP, così come tante altre associazioni di categoria. Che cosa non ha funzionato? Di chi è la colpa? Circostanze sfortunate o imprevisti a parte, le risposte spesso si trovano rifugiandosi nelle scuse (ho fatto quello che potevo, la gente non legge ecc.). Ma le scuse non aiutano a capire come mai altre comunicazioni o eventi hanno invece funzionato. Chiediamoci piuttosto che cosa possiamo fare per fare meglio la prossima volta. Come? Iniziamo, per esempio, con l’alzare la cornetta (o consultare la rubrica sul cellulare) e contattiamo – a voce – chi ha avuto successo. Meglio ancora, incontriamo questa o queste persone – de visu. E da questa interazione personale – e non digitale – si potranno, con molta probabilità, scoprire cose interessanti e utili al proprio lavoro. E, se l’interazione è “corretta”, ovvero guidata dai principi fondanti delle pubbliche relazioni, magari possono emergere opportunità finora sconosciute o inesplorate.
Tutto facile? Sarebbe bello. Data la grande complessità del mondo odierno non sempre basta un banale incontro e parlarsi per risolvere le questioni o raggiungere gli obiettivi auspicati (o ricevuti per mandato). Tuttavia, sono fermamente convinto, anche per esperienza personale, che è solo coltivando le relazioni “di persona” che si accorciano le distanze e che si creano i presupposti per raggiungere degli obiettivi. A condizione però di restare sempre integri e accurati, responsabili, discreti e trasparenti. Cioè di essere dei veri professionisti delle relazioni pubbliche.