Tanto per essere chiari, la famosa visione che le donne al comando avrebbero mostrato una nuova via, migliore, più pragmatica e meno di interessi, non si è mai vista e gli studi fatti, seppur statisticamente difficili da provare, non hanno portato a nulla di sostanziale e probante. Anzi, molto spesso quelle che ce l’hanno fatta, rimuovono le difficoltà vissute e della questione femminile ne fanno solo un tema opportunistico e personale. Il punto non è e non deve essere questo. Le rivendicazioni femminili non devono e non sono in contrapposizione al “maschio dominante” e una conquista del potere. Così facendo ci si dimentica che la maggioranza del mondo femminile, se non la totalità, si confronta giornalmente con discriminazioni in tutti gli ambiti del vivere, da quello lavorativo a quello formativo a quello relazionale e familiare, da quello politico a quello sociale in cui il retaggio culturale rimane resistente a tutti gli interventi di persuasione morale proveniente dalla cultura e dalle istituzioni. La legge ci protegge ma troppo spesso la società no. Per questa ragione varrebbe la pena di chiarire cosa si intende per discriminazione, uguaglianza e parità.
Quando si parla di discriminazione, di uguaglianza e di parità si deve prima di tutto sottolineare che si tratta sempre di ingiustizie, di squilibri sociali, di retaggi culturali, di costumi e accettazioni tacite di comportamenti che portano inevitabilmente ad un atto di sopruso finanche di violenza. Mentre, per uguaglianza non si intende essere tutti uguali ma, giudicamene ed eticamente, significa poter avere pari dignità e pari opportunità pur nella diversità. Questa visione, che affonda le sue radici nell’Illuminismo e nella Rivoluzione francese, la troviamo già nella prima Dichiarazione dell’Uomo e del Cittadino, il cui importante contributo propone un’uguaglianza sostanziale, ossia il principio della dignità e della solidarietà: uguaglianza come un diritto alla parità pur nelle differenze naturali o spirituali che siano, divenendo un valore universale, un diritto fondamentale nel rispetto delle identità di ogni individuo, nel senso liberale del termine. Lo dicono tutte le Carte fondanti del mondo occidentale, iniziando dalla nostra Costituzione che fra i principi fondamentali cita “Tutti sono uguali davanti alla legge”, “Nessuno può essere discriminato”, “Uomo e donna hanno uguali diritti”. In poche righe, in modo conciso ed essenziale rendono il valore e la prospettiva che la Costituzione, e quindi lo Stato, intende perseguire. Una disposizione valoriale di principi fondamentali e quindi inviolabili, che mettono al centro l’individuo, il cittadino e il compito di difesa dello Stato.
Allora perché il cammino per una vera parità è ancora così lontano dalla sua realizzazione? Molto è stato fatto, ma nella realtà rimangono sottesi gli stereotipi di genere ereditati dal passato, che si mutano in consuetudini culturalmente legittimate e che, nei fatti, li ritroviamo nelle strategie aziendali, programmi politici e nei modelli comportamentali che vedono perpetuata una serie di atti discriminatori, in particolare verso le donne. Insomma, norme e leggi lasciano ancora spiragli in cui filtrano, ancora oggi, azioni e narrazioni impregnate di differenza e discriminazioni. Si pensi semplicemente al linguaggio, ai piani di carriera sovente correlati a fattori condizionanti, quali matrimonio e figli, ai troppi crimini consumati ai danni delle donne da uomini indirettamente legittimati a farlo. Quindi, le donne prima ancora di mirare al “tetto di cristallo” devono guardare in direzione della libertà e della dignità, da cui mai dovranno togliere lo sguardo: sul lavoro, in famiglia e nella società.