Alcuni recenti gravi episodi, ampiamente ripresi dalla stampa e commentati con toni allarmati da esponenti politici, hanno evidenziato l’attualità di un problema da sempre particolarmente avvertito da parte della popolazione ticinese: quello della sicurezza, reale e percepita.
Il Ticino non sta vivendo un’emergenza criminalità come talune regioni italiane di confine o come alcuni altri Cantoni di frontiera, anzi, le statistiche della polizia indicano tendenzialmente negli ultimi anni una diminuzione dei reati. E ciò grazie anche ad un’efficace presenza sul territorio delle forze dell’ordine, ad un più efficace controllo sociale e a nuovi dispostivi tecnologici che aumentano la capacità di prevenire i reati o individuarne gli autori, con un evidente effetto deterrente.
Ciò non toglie però che esiste un legittimo allarme e a volte un clima di vera e propria paura della popolazione, in alcune zone, per i furti negli appartamenti. Un reato tanto più allarmante e preoccupante perché viola l’intimità familiare con un effetto moltiplicatore nella percezione di una generale insicurezza. Quindi, questo allarme e questa paura non vanno sottovalutati, tanto più che oggi in tutta Europa esiste, un’emergenza criminale a più livelli. Molti Paesi sono infatti confrontati con le infiltrazioni delle grandi organizzazioni criminali, dalla mafia alla ‘ndrangheta che allungano i loro tentacoli nelle attività economiche, grazie all’enorme disponibilità di capitali liquidi di illecita provenienza. Questo è un primo ed elevato livello criminale di cui già in Ticino e in Svizzera si sono avuti chiari ed inequivocabili segnali.
C’è poi un secondo livello, che è quello che più preoccupa i cittadini. Un livello questo che si articola su due fronti: bande internazionali di rapinatori assai mobili che si muovono agevolmente tra un Paese e l’altro, ed anche in Svizzera come hanno dimostrato alcune rapine in Ticino; bande di ladruncoli e piccoli rapinatori, che si muovono a cavallo delle frontiere, a cui va ricondotta gran parte dei furti negli appartamenti. La combinazione di due attività, oltre a rappresentare un rischio reale nel Cantone, manda in corto circuito la percezione della sicurezza nella popolazione.
Hanno partecipato all’incontro:
Norman Gobbi
Consigliere di Stato, Direttore del Dipartimento delle istituzioni
Dounia Rezzonico
Procuratore pubblico federale
Michele Bertini
Vicesindaco Città di Lugano
Stefano Piazza
Presidente Associazione Amici forze di polizia, società civile
Marco Bazzi
Moderatore e Direttore di Liberatv.ch.
L’incontro si è tenuto il 18 gennaio 2018 presso il Teatro per eventi Metamorphosis,
Palazzo Mentegazza, Lugano Paradiso.
Marco Bazzi:
Vorrei iniziare approfittando della presenza del Consigliere di Stato Norman Gobbi per chiedergli, se possibile, di fornirci un quadro dell’andamento dei reati e dello stato della sicurezza oggi in Ticino.
Norman Gobbi:
«Partirei subito dalla considerazione che sicurezza reale e sicurezza percepita da parte dei cittadini sono due cose ben distinte che talvolta possono anche apparire in contrasto. I dati statistici confermano che la situazione è nettamente migliorata nel corso degli ultimi anni. Se prendiamo in considerazione per esempio i furti vediamo che la media degli ultimi dieci anni era di 446 crimini ogni anno, ma che questo valore è sceso a 285 episodi nel corso degli ultimi 12 mesi. Se prendiamo in considerazione gli ultimi cinque anni vediamo ugualmente che la media scende tra il settembre 2012 e l’agosto 2017 sempre da 397 a 285 casi. Anche gli arresti scendono da 1203 nel 2014 a 913 nel 2017 e se scomponiamo questo dato per reparto vediamo che il Mendrisiotto è la regione dove avviene il maggior numero di arresti che poi scendono man mano che si procede verso l’interno del Ticino, a conferma dell’azione di controllo e repressione che viene esercitata in prossimità delle frontiere. E analoghe considerazioni valgono per le rapine, dove i dati riguardanti il Luganese sono in discesa.
Questa situazione à dunque l’esito delle misure intraprese negli ultimi anni: l’adeguamento degli effettivi, soprattutto per la Polizia cantonale e le comunali; la regionalizzazione delle gendarmerie, con una maggiore presenza delle forze sul territorio; la collaborazione tra i diversi partner preposti alla sicurezza (Polizia cantonale, Polizie comunali, Corpo delle Guardie di Confine; la chiusura notturna dei valichi, che ha determinato un maggior senso di sicurezza per gli abitanti delle zone di confine e la possibilità per la Polizia di dedicarsi maggiormente al controllo delle zone più sensibili».
Marco Bazzi:
Qual è lo stato del Ticino per quanto riguarda le infiltrazioni della grande criminalità e cosa si sta facendo per combatterla?
Dounia Rezzonico:
«Bisogna restare sempre vigili. Le organizzazioni criminali in Svizzera non sono ancora presenti in modo sistematico o sistemico, ma le condizioni di benessere economico che contraddistinguono il nostro Paese esercitano una notevole forza attrattiva nei confronti della criminalità organizzata nazionale e soprattutto internazionale. I casi aperti riguardano soprattutto il riciclaggio di denaro sporco. E, se il fenomeno delle organizzazioni malavitose in Italia si spinge sempre più a Nord, dobbiamo ricordarci che a Nord dell’Italia c’è la Svizzera, e particolarmente il Ticino. Proprio per questo bisogno sempre restare vigili».
Marco Bazzi:
Anche il terrorismo internazionale costituisce una minaccia di cui occorre tenere conto…
Dounia Rezzonico:
«Per combattere la minaccia terroristica occorre dialogare e collaborare tra tutte le forze di polizia (cantonali e federali), anche perché l’evoluzione di questa minaccia potrebbe arrecare problemi anche al Ticino».
Stefano Piazza:
«A proposito di terrorismo internazionale, ho già avuto modo di scrivere che se prima o poi un governo di coalizione potrebbe nascere in Germania, nel paese si fanno conti con gli errori del passato in materia di sicurezza nazionale: islam radicale, criminalità organizzata e le pesanti interferenze da parte della Turchia. Il numero di coloro sospettati di terrorismo nel 2017 ha visto una crescita di ben cinque volte rispetto al 2016. A tal proposito sono stati aperti 1.200 nuovi dossier, 1.000 a carico di soggetti gravitanti nella galassia islamica. Mentre la Germania negli ultimi decenni si è voltata dall’altra parte pensando solo a rendere più forte la propria economia, una mafia dalle origini agro-pastorali si è fatta largo nel Paese fino a comandare. L’organizzazione criminale che per prima ha saputo cogliere le mille opportunità che offre la Germania è la ’ndrangheta calabrese che si sta comprando tutto: ristoranti, alberghi, hotel, pizzerie da Eifurt a Essen, da Monaco, Stoccarda, Bochum a Duisburg (dove avvenne la strage del 2007) e ogni attività florida o in crisi che possa servire a riciclare i proventi del traffico di cocaina, di cui l’organizzazione è leader. Ci sono inoltre le pesanti intromissioni dei servizi segreti turchi MIT, alla continua ricerca di dissidenti/oppositori presunti o veri del Sultano di Ankara. Gli uomini di Erdogan si sentono talmente sicuri in Germania che hanno alzato pesantemente il livello dello scontro».
Marco Bazzi:
Mettendosi tuttavia dal punto di vista del cittadino, quelle che fanno più paura e generano una condizione di insicurezza sono le attività di una microcriminalità locale…
Michele Bertini:
«Indubbiamente recenti episodi come l’accoltellamento fuori dal Quartiere Maghetti di Lugano hanno creato non poco sconcerto nella popolazione e imposto la necessità di una risposta trasversale che sappia affrontare e risolvere il problema in modo sistemico. In altre parole, occorre riuscire a contrastare in modo efficace un fenomeno contro cui finora gli strumenti a disposizione si sono rivelati poco incisivi. Bisogna intervenire non solo sotto un profilo repressivo (aumentando controlli di Polizia e i pattugliamenti in Città, come deciso di recente dal Municipio) ma anche sotto un profilo giudiziario costituendo un tavolo di lavoro trasversale fra Polizia, autorità e Magistratura che sappia elaborare proposte concrete a livello comunale e cantonale. L’obiettivo, è duplice: da un lato agire a livello “regionale” affrontando il tema delle pene giudiziarie e della sicurezza, avanzando anche proposte concrete; dall’altro, invece, fare pressione a livello federale affinché anche a Berna venga posto il problema. Un altro aspetto solo apparentemente meno importante ma che invece mi preme sottolineare riguarda la qualità ambientale delle nostre città. Interventi relativi all’illuminazione, all’arredo, alla pulizia delle piazze e delle strade diventano fondamentali per contrastare quella percezione di insicurezza e di abbandono da parte delle istituzioni che tanto influiscono sullo stato d’animo degli abitanti di Lugano».
Marco Bazzi:
Tornando ancora sul problema della criminalità di matrice economica, la Svizzera è a rischio di infiltrazioni da parte di organizzazioni che possono finanziare il terrorismo internazionale?
Dounia Rezzonico:
«La Svizzera, con il suo stato di diritto che funziona bene, con la sua importante piazza finanziaria, con le sue buone infrastrutture e un tessuto economico sano, rappresenta un obiettivo interessante per la criminalità organizzata. Se questi fattori sono da un lato un punto di forza della Confederazione, essi rappresentano anche il ventre debole dove appunto le organizzazioni criminali possono fare breccia».
Stefano Piazza:
«Abbiamo visto i rischi che corre un Paese come la vicina Germania che pure ha sempre fatto della sicurezza uno dei suoi motivi di vanto. Per quanto riguarda specificatamente la Svizzera, la difesa della Porta Sud del Paese è indispensabile se vogliamo continuare a garantire la sicurezza dei ticinesi. Oggi l’Europa è confrontata con l’emergenza migranti per la quale dobbiamo essere sempre pronti a intervenire, data anche la passività di alcuni Stati europei nella gestione di questa emergenza, per evitare che alcune persone approfittino della situazione per entrare a delinquere nel Paese. Teniamo presente il fatto che la Svizzera costituisce una sorta di hub ideale per tessere una rete di contatti, costruire alleanze, scambiarsi materiale di indottrinamento.
In questa prospettiva il Piano Nazionale Antiradicalizzazione può essere un primo passo, ma occorre fare molto di più come alcuni Cantoni hanno già dimostrato, e tra questi anche il Ticino».
Dounia Rezzonico:
«La natura del fenomeno criminale con cui si è confrontati implica la necessità di una maggiore collaborazione delle forze di polizia su scala internazionale. Uso di banche dati, collaborazione investigativa, scambio costante d’informazioni, e un sistema tempestivo nella segnalazione di possibili pericoli. Non dimentichiamo poi il fatto che il nostro sistema giuridico, liberale e garantista, se da un lato ha favorito la crescita del benessere e lo sviluppo della piazza economica e finanziaria, dall’altro ha attirato le attenzioni della criminalità organizzata che dispone di una grande liquidità da reinvestire in attività legali. Il diritto federale in materia di obbligazioni e costituzione di società, oppure le procedure in ambito di esecuzioni di fallimenti sono strumenti utilissimi in una economia e in una società “sane”, ma spesso consentono anche spazi di manovra per attività illegali che non sempre è facile scoprire e reprimere».
Michele Bertini:
«Il modello operativo congiunto tra polizia comunale, cantonale e guardie di confine per prevenire e combattere soprattutto i furti negli appartamenti, ha dato buoni risultati. Si tratta di un modello che potrebbe essere applicato con altrettanta efficacia anche in altri ambiti della sicurezza. E, ancora, gli sviluppi della tecnologia permettono oggi una più efficace difesa della sicurezza sia a livello di privati cittadini che di sicurezza pubblica. Per la sicurezza pubblica, in particolare, bisogna orientarsi passando dai sistemi di prevenzione-dissuasione passivi a quelli attivi. Importante non dimenticare che queste nuove risorse tecnologiche, dalla videosorveglianza ad altri sofisticati strumenti elettronici devono essere integrati in una ragionata rete di sicurezza di cui vengano preliminarmente definiti scopi generali, obiettivi specifici e le modalità di gestione da parte di personale appositamente formato. Vorrei soffermarmi ancora un momento sull’importanza dell’utilizzo delle banche dati, cosa che a livello comunale abbiamo fatto per esempio per quanto riguarda gli abitanti e l’utilizzo degli alloggi. Questi strumenti, se costantemente aggiornati, possono dare un’importante fotografia della popolazione di una città, dei suoi movimenti, e del generarsi di situazioni potenzialmente a rischio. Infine, è necessaria la consapevolezza dei politici e della società civile che la sicurezza è anche una fondamentale risorsa dell’attrattività del Ticino. Nonostante gli allarmi degli ultimi tempi, il livello generale di sicurezza e tranquillità di cui oggi beneficia il Cantone non ha eguali nei Paesi a vicini. Quindi va incentivato uno sforzo comune, mediante campagne mirate ma non allarmistiche e ciò per salvaguardare questa sicurezza e per un sostegno ancora maggiore alla polizia».
Norman Gobbi:
«Nell’ambito della sicurezza non ci si può mai dire completamente soddisfatti. Come ripeto di frequente, la sicurezza è un “bene primario” che occorre garantire ogni giorno a tutti i cittadini. Per questo motivo non bisogna mai abbassare la guardia e continuare a impegnarsi per accrescere sia la sicurezza oggettiva che quella percepita dalla popolazione. Certamente sono stati compiuti dei passi in avanti, ma la strada è lunga e ci sono ancora molti obiettivi importanti da raggiungere. Con il mio Dipartimento ho innanzitutto voluto rafforzare la Polizia cantonale, sia dal profilo del numero degli agenti che da quello degli strumenti a disposizione. Nel contempo, è stata attuata la regionalizzazione della Gendarmeria, che ha riportato gli agenti maggiormente sul terreno, cosa che ritengo fondamentale per accrescere la sicurezza nel nostro Cantone. Non da ultimo, è stata migliorata la collaborazione e il coordinamento con le Polizie comunali, così come con le Guardie di confine, necessari per intervenire in maniera efficace sul nostro territorio. Dopo che certi problemi inerenti la sicurezza hanno cominciato a colpire anche altri Cantoni, la Confederazione ha dovuto aprire gli occhi su un fenomeno che è reale e che può avere delle ripercussioni negative sulla Svizzera. Spero che a Berna si siano finalmente resi conto della portata del problema, specialmente per i Cantoni di frontiera come il Ticino che spesso sperimenta – e porta anche soluzioni – prima del resto del Paese fenomeni come quelli criminali».