Pochi sanno, o si ricordano, che è stata la prima donna ad essere eletta in Consiglio di Stato; quasi nessuno sa, o si ricorda, che la tradizione di “prima donna a…” in famiglia non l’ha inaugurata lei, bensì sua mamma Valeria, prima notaia in Ticino. E anche la nonna paterna pare non scherzasse quanto a parità e diritti.
Nel 1971 Lei era una giovane adolescente. Si ricorda ancora come visse questo avvenimento?
«Certo, ricordo bene anche il voto, due anni prima, del Canton Ticino. Un avvenimento davanti al quale, come in moltissime famiglie e scuole ticinesi, abbiamo reagito con entusiasmo. I cantoni avevano iniziato a riconoscere il diritto di voto delle donne da alcuni anni. Il Ticino era stato tra i primi a prendere questa decisione: sembrava naturale che su questa onda in crescendo la Confederazione seguisse in tempi abbastanza brevi. Il voto del Ticino fu un tassello importante e due anni dopo arrivò anche quello della Svizzera. Il suffragio universale della nostra profonda democrazia, fin lì dimezzato, diventava finalmente intero».
La sua è una famiglia di politici: fino al 1971 l’unico “in carriera” poteva essere solo papà Franco. Unico uomo in una famiglia di sole donne, di che opinione era?
«Il nostro papà si era impegnato molto per il voto delle donne fin da adolescente. È stato un papà estremamente promozionale, che ci ha sempre incoraggiate e sostenute nelle nostre aspirazioni. Indubbiamente ha avuto un ruolo determinante la figura di sua mamma: una donna forte e intelligente, maestra e poi ispettrice scolastica, che aveva a sua volta lottato per la parità sin da quando frequentava la magistrale, nei primi anni del ’900, e aveva saputo conciliare famiglia e lavoro in tempi difficilissimi. Poi papà ha incontrato Valeria, la nostra mamma, una donna straordinaria e completa sia dal punto di vista intellettuale e culturale sia da quello affettivo. Era avvocato, e appena la legge le riconobbe il diritto di fare il notaio (molto tardi!) diventò la prima notaia del Cantone. Mamma ebbe un influsso importantissimo sul nostro crescere libere e convinte della nostra parità e sul nostro crescere convinte di poter essere ognuna donna a modo suo; ma di certo un uomo che non fosse stato già molto ingaggiato per la parità e intrinsecamente paritario non avrebbe potuto accettare – settant’anni fa – una donna come Valeria».
Discussioni con sua mamma e con voi sorelle in questo senso ce ne sono mai state?
«Parlavamo spesso di diritti democratici e di parità, sempre dando per scontato che ci si doveva impegnare in vari ambiti ma che l’obiettivo sarebbe stato raggiunto: noi figlie avremmo potuto scegliere liberamente il nostro percorso di vita, e al momento in cui saremmo diventate maggiorenni avremmo avuto diritto di votare in una democrazia finalmente non più a metà. E così è stato. Davamo pure per scontato che vi sarebbe stata piena parità tra donne e uomini, concreta e pari libertà di scelta del modo di essere di ognuna e ognuno nella nostra società. Eravamo troppo ottimiste: vi sono certo stati grandi progressi, ma l’obiettivo non è ancora pienamente raggiunto. Rimane parecchio lavoro da fare, soprattutto a livello sociale e di costume».
Papà si è mai sentito un “quinto incomodo”?
«Non penso proprio, perché è una personalità estremamente forte, anche se ogni tanto in famiglia ci ridevamo su. Avevamo un cane che si chiamava Morgan e quando papà lo portava fuori diceva: “Vieni Morgan, noi uomini andiamo a fare una passeggiata”».
In generale nella sua vita ha mai sentito il suo essere donna come un limite?
«No, mai. E in questo devo ringraziare l’educazione che ho avuto in famiglia. A ragion veduta oggi ci diciamo che forse ha anche aiutato il fatto che non ci fosse un fratello, perché nonostante tutti gli sforzi avremmo sentito di più l’influsso del costume del tempo, delle differenze di valori e ruoli che venivano attribuiti a maschi e femmine. Difficilmente sarebbero entrati nella famiglia in senso stretto, ma forse attraverso gli amici e le frequentazioni sarebbero filtrati e li avremmo recepiti di più».
E come un valore aggiunto?
«Nemmeno. Siamo state cresciute nell’idea che ogni persona debba essere valutata per quello che è e per quello che fa, per le sue qualità, capacità e specificità».
E gli altri hanno mai visto il suo essere donna come un limite (o per lo meno ne ha avuto l’impressione)? O un valore aggiunto?
«È sempre difficile immaginare cosa pensano gli altri. Dalle impressioni raccolte in tutti questi anni posso solo dire che in molti ambiti, ancora oggi, le donne devono superare un esame in più».
Oltre vent’anni affinché in Ticino fosse eletta una consigliera di Stato donna non sono troppi?
«Il costume cambia più lentamente delle leggi. Più preoccupante ancora è che da allora non si siano fatti solo passi avanti ma anche passi indietro: oggi in Consiglio di Stato non c’è nemmeno una donna».
Unica donna tra quattro uomini, entra per la prima volta nella sala riunioni del Governo ticinese e…?
«…e mi metto subito a lavorare con loro. Mi ha molto aiutata Giuseppe Buffi, sempre saggio, sensibile ai temi di parità, pronto a ironizzare e sdrammatizzare con intelligenza e esperienza».
Essere donna allora in politica era un ostacolo?
«Non potrei dire: l’esame in più c’è stato, e certamente qualche pregiudizio veniva rivelato dagli aggettivi usati e dai commenti fatti. Ma non venivo criticata perché donna, bensì per i miei progetti e per le mie idee profilate. In ogni caso, se pensiamo alla percentuale di donne in politica ai giorni nostri (e non parliamo nemmeno di quella di allora), qualche ostacolo deve pur esserci. Certo, in politica ci vogliono tante diverse qualità, ma ci sono indubbiamente molte donne che le hanno».
La maternità per molte donne è ancora un problema, sia per fare carriera che a volte addirittura per rimanere occupate. Ritiene che la società – Stato ed economia privata – dovrebbe impegnarsi di più per conciliare famiglia e lavoro?
«Sì. L’universo femminile è un patrimonio umano enorme e dal mondo della formazione escono notevoli talenti che poi, dopo la maternità, rischiano di perdere il contatto con il mondo del lavoro. Il dilemma per ogni mamma è occuparsi appieno dei bimbi o continuare a lavorare almeno a tempo parziale. E questo influenza la scelta se diventare mamma. Reinserirsi dopo una pausa non è facile, abbinare famiglia e vita professionale nemmeno. Va detto che molte donne ci riescono e molto bene. Ma ognuno dovrebbe fare la sua parte: compagni di vita, mondo del lavoro, mondo della scuola e mondo politico».
In questo senso fosse ancora attiva in politica quali sarebbero le priorità della sua agenda?
«Occorre agire su più fronti: una delle priorità è la formazione professionale, con l’offerta di corsi di riqualifica e aggiornamento per agevolare il rientro nel mondo del lavoro. Ma si dovrebbe lavorare anche sugli orari scolastici e l’offerta di mense, e malgrado gli importanti miglioramenti di questi anni, incentivare le aziende a maggior flessibilità».
Si immagini di rivedersi giovane donna, laureata e politica alle prime armi: che consiglio si darebbe?
«Essere sé stessa, non aver timore di portare la propria individualità e il proprio profilo nel percorso che sceglie e, in politica, avere buoni progetti e lavorare per costruire il consenso per realizzarli».
È lo stesso che darebbe a una giovane del 2021?
«Sì, senza dubbio».
Dopo mezzo secolo e un paio di generazioni siamo ancora qui a parlare di parità fra i sessi: non ritiene che dovrebbe essere un fatto ormai culturalmente acquisito?
«Certo, ma per ora non lo è. Proprio questo sarà l’indicatore della raggiunta parità: che non sarà più necessario parlarne. Non ci chiederemo più quante donne (in politica, nelle aziende, in qualsiasi ambito) ma quali donne, non quale genere ma quale persona».
Quando, se mai, pensa che diverrà realtà?
«Nessuno ha la sfera di cristallo. In questo processo abbiamo visto progressi, ma anche battute d’arresto e passi indietro. La parità deve diventare realtà, ma non possiamo dire né quando né se avverrà. Quello che possiamo dire è che dipenderà da ognuno di noi».