«Lavoro 18 ore al giorno». Inizia più o meno così la mia chiacchierata con Francesco Facchinetti. Come prosegue? Con un mio velocissimo calcolo ed una domanda di getto: dunque quante ore dormi? La risposta non è stata scontata, per nulla. Penserete che mi abbia risposto : «circa sei ore». Eh no, Francesco non è uno da botta e risposta, e infatti ha iniziato a parlare della sua fase di sonno REM, del recupero documentato tramite “Aura” (un anello che monitora il sonno e l’attività fisica), per arrivare a dirmi che con 4-6 ore di riposo lui è carico per, appunto, le seguenti 18 ore di fuoco.

Figlio del mitico Roby Facchinetti, cantate dei Pooh, Francesco ha un curriculum incredibile: DJ, presentatore, cantante, procuratore sportivo, imprenditore. Abbiamo imparato a conoscerlo con il suo tormentone estivo La canzone del capitano, e da lì in avanti è stato un crescendo.

X Factor, Isola dei Famosi, Miss Italia, Striscia la Notizia, e poi il cinema, la radio, il doppiaggio, senza dimenticare una lunghissima serie di singoli di successo. Sono questi, in breve, i campi in cui Francesco si cimenta da anni, passando da un impegno all’altro con la disinvoltura che può avere unicamente chi ama fortemente ciò che fa.

«È esattamente così, il mio lavoro è una passione e l’ho sempre vissuta così. A 16 anni ho capito che se volevo qualcosa dovevo guadagnarmelo perché i miei genitori non mi hanno mai regalato nulla, ed è stata una fortuna. Così a 20 anni già vivevo da solo e mantenevo pure tutti i miei amici che ho invitato a stare da me».

È proprio vero che il fatto di avere dei genitori famosi può aprirti determinate porte, ma il palcoscenico poi te lo devi guadagnare. Un percorso che a Francesco non è mai pesato, anzi, delle parole in dialetto bergamasco che sua nonna gli ripeteva sempre («Alùra, ricordét: bergamasc lavora dür, forza de bestia pura de négot») Francesco ne ha fatto uno stile di vita.

«Noi bergamaschi/brianzoli ci sentiamo in colpa se non lavoriamo, e ti dirò di più: il sabato e la domenica per me sono i giorni più duri, mi viene il mal di testa, non riesco a stare fermo e non fare nulla. C’è chi vive per il fine settimana, e lo rispetto. Io vivo per le mie giornate lavorative, quelle in cui ho un impegno dopo l’altro, incontri che si incastrano e l’agenda che scoppia».

Mi parla di una cena con la cantate Cher e l’attrice Demi Moor, pochi giorni dopo vola a Madrid per la vendita di un giocatore all’Atletico, e poi sale su un volo intercontinentale con destinazione New York, il tutto a pochissimi giorni di distanza. Ma è anche vero che nei pochi momenti di riposo Francesco ne approfitta per stare con la sua grande famiglia, dando priorità assoluta ai suoi figli e a Wilma, e frequentando gli amici di sempre, quelli con cui è cresciuto. Persone con cui parlare di tutto e niente, divertirsi senza pretese, e mantenere i piedi per terra. Un modo per radicarsi, per tornare ad una sana normalità contrapposta al suo mondo lavorativo che lui stesso definisce folle, fatto di personaggi famosi, glamour, ed una lunga serie di corse in aeroporto.

«La mia fortuna? È che non sono veramente un artista. Ed è davvero un fattore vincente perché questo mondo per gli artisti è difficile da vivere».

In che senso?

«Devi sapere che nella stragrande maggioranza dei casi chi diventa famoso la vive come una privazione. Essere famoso amplifica ciò che tu sei, e un artista solitamente ha delle caratteristiche più introverse che estroverse, fa della sua sofferenza la propria arte. Io non essendo mai stato un artista ho avuto la fortuna di viverla sempre benissimo, per me è sempre stato tutto geniale!».

Francesco è una persona estremamente entusiasta, caratteristica che in tenera età nessuno riusciva a domare, né i genitori né gli insegnanti. Il suo soprannome era “Attila flagello di Dio”, e probabilmente viste le fughe ed espulsioni da scuola, come nomignolo era abbastanza azzeccato. Un vero ribelle che però si è sempre voluto bene, non spingendosi mai oltre il limite».

Come si è tramutato, in età adulta, questo tuo modo di essere?

«Beh, la fortuna è che comunque ho sempre avuto la testa sulle spalle, mi sono divertito, ma senza finire in situazioni pericolose o viziose. Non fumo, non bevo. Ora grazie alla tecnologia posso anche tenere sotto controllo il mio benessere, e quando vedo che sono al limite corro ai ripari e riposo un po’ di più, cerco di non stressarmi troppo lavorando in modo positivo e col sorriso, anche se so bene che la vita ti porta a perdere, e non ad arrivare al risultato. Ci sono tante sconfitte. La differenza tra chi vince e chi perde la fa chi sa trasformare queste sconfitte in vittorie». L’attitudine positiva fa la differenza, e lo fa pure una sana nutrizione».

Sei attento a ciò che metti nel piatto?

«Molto: cerco di prendermi cura di me stesso mangiando bene, sono anche stato vegano per due anni. Ora mangio un po’ di carne ma per il semplice fatto che viaggiando molto non è sempre facile trovare dei ristoranti vegani, ma fosse per me vivrei di verdure, le amo. E poi cammino moltissimo: quando sono via per lavoro arrivo tranquillamente a 10, addirittura 20 km al giorno».

Io aggiungo : «immagino in call?». Lui, ovviamente, conferma. Tra l’altro, il telefono di Francesco è bloccato. In che senso? Nel senso che solo poche persone possono raggiungerlo telefonicamente, tutti gli altri se vogliono comunicare con lui devono farlo via whatsupp o e-mail: «È normale, come ogni altro capo di azienda non posso permettermi di stare al telefono con tutti. Ciao come stai? Hai visto che bel tempo? Via e-mail o messaggio tutti questi fronzoli vengono automaticamente eliminati, la comunicazione è più spiccia e si arriva subito al dunque. Io devo gestirmi così, altrimenti non se ne esce. Mi piacerebbe poter passare più tempo dialogando con le persone, ma è un lusso che non mi posso permettere. Sono a capo di 3 aziende, ed ho più di 100 dipendenti, devo ottimizzare il mio tempo il più possibile».

Francesco da più di un anno ha deciso di far diventare Lugano il suo quartier generale, una regione che già conosceva e frequentava, oltre ad essere il luogo in cui Wilma ha trascorso parte della sua vita studentesca: «Amo Lugano, e tutta la Svizzera in generale. Io la giro molto per lavoro perché ho delle attività commerciali sia in Svizzera francese sia in Svizzera tedesca, ed oltre alla sicurezza ne apprezzo tantissimo la natura, ci sono delle montagne e dei laghi pazzeschi. Pensa che sto così bene qui che non vorrei vivere in nessun altro posto, anche se ti confesso di avere un debole anche per Lucerna, credo che potrei addirittura viverci. Ma, tornando a Lugano, oltre ad essere magnifica, per me è anche veramente strategica: è vicina a Milano dove spesso lavoro, è vicina alla Brianza dove sono cresciuto e dove tutt’ora vive mia madre. Insomma, non avrei potuto scegliere un luogo migliore».