Marina MasoniMarina Masoni, la sua rilevante esperienza politica l’ha portata ad attraversare fasi diverse della vita del Cantone. Quali sono stati i principali passaggi che a suo giudizio hanno segnato l’evoluzione del mondo politico ticinese?

«Non parlerei tanto di passaggi quanto di una costante trasformazione che riflette nella dimensione ticinese quanto di fatto è avvenuto anche a livello svizzero, e più in generale a scala globale. Agli esordi della mia attività era ancora sentita l’influenza lasciata nel modo di fare politica, e anche di comunicarla, dall’insegnamento di grandi personaggi del passato che avevano lasciato profonde tracce nella legislazione, dando un impulso determinante alla modernizzazione del Paese soprattutto negli anni Cinquanta e Sessanta. Tra tutti ricorderò in particolare Brenno Galli. E ancora nelle generazioni successive, in prima fila negli anni Ottanta e Novanta, erano attivi politici di notevole formato (qui citerò specialmente Giuseppe Buffi) portatori, oltre che di una visione, di uno stile nei rapporti politici che non escludeva il confronto anche accesso, ma era poi capace di trovare una sintesi condivisa al fine dell’interesse generale».

Ha accennato anche ad un modo diverso di comunicare la politica. Che cosa significa?

«I tempi di formazione di un’opinione o di formulazione di una proposta erano senza dubbio più lenti, potevano essere più meditati. E anche gli spazi concessi dai media consentivano di argomentare in modo chiaro e articolato i contenuti di un’idea o di un progetto. Negli ultimi vent’anni abbiamo assistito ad un’accelerazione poderosa di tutti i processi, fino ad arrivare all’esplosione dei social media, che hanno cambiato radicalmente il modo di fare e vivere la politica, introducendo una comunicazione più diretta, immediata, interattiva e personalizzata. Hanno influenzato non solo il linguaggio, ma anche i contenuti della comunicazione politica, imponendo ritmi, limiti di spazio e di tempo che richiedono ai politici risposte lampo, brevi, di forte impatto. Per questo, si assiste a un uso frequente di toni aggressivi, slogan, emoticon e altro ancora, che servono a catturare l’attenzione, a provocare emozioni e a creare identificazione. Questo uso degli strumenti nuovi (che in sé hanno un grande potenziale anche positivo) non giova alla qualità della comunicazione politica, né alla trasparenza nei confronti dei cittadini, né alla creazione del consenso necessario alla nostra democrazia».

Nello specifico, quali sono a suo giudizio i principali mali che affliggono la politica ticinese?

«Devo premettere che nel corso della mia attività politica ho avuto la fortuna di attraversare anche periodi in cui, quasi per una felice congiunzione astrale, mi sono trovata a confrontarmi con persone che, oltre ad una precisa visione dei progetti da intraprendere per il bene della città e del Cantone, avevano la volontà di costruire e realizzare in tempi ragionevoli le iniziative avviate. Ricordo per esempio Pietro Martinelli. Da qualche tempo invece mi sembra di intravedere una sorta di autoreferenzialità del dibattito politico e una accentuata tendenza ad anteporre agli interessi del Paese la preoccupazione di parlare più ai propri sostenitori ed elettori. Sempre più spesso vediamo politici preoccupati in primo luogo di assecondare il pubblico e creare le proprie tifoserie. Ma l’essere popolari e “accattivanti” non è affatto sinonimo di progettualità e competenza. E l’assecondare il pubblico non significa davvero capirne i problemi per cercare di risolverli, anzi, spesso diventa un modo per scansare l’ostacolo. Scegliendo figure non adeguatamente assertive e propositive, si perdono occasioni e si creano difficoltà anche rispetto al necessario bilanciamento tra i poteri.

Per gentile concessione del Corriere del Ticino
Per gentile concessione del Corriere del Ticino

Un altro aspetto che va sottolineato è il soverchiante peso ormai assunto dalla burocrazia che complica, rallenta e blocca ogni processo decisionale. Poniamoci ad esempio solo una domanda: quanto tempo, quanti ricorsi, quanti intralci ci sarebbero oggi di fronte alla realizzazione di un’opera grandiosa come fu all’epoca la costruzione di una rete per la canalizzazione e la depurazione delle acque conclusa nel volgere di pochi anni da Lugano e dall’ingegner Geo Mantegazza?».

Nel 2026 ricorreranno trent’anni da quando lei, allora Consigliera di Stato e direttrice del Dipartimento delle finanze e dell’economia (DFE) presentò il famoso progetto «Strategia e misure puntuali di sostegno al rilancio economico del Ticino». Qual è il suo giudizio su quella ormai “storica” stagione?

«Il Ticino veniva da una profonda e lunga crisi economica, il PIL reale pro capite aveva perso quasi il 10%, si erano persi quasi 20.000 posti di lavoro e la disoccupazione era quadruplicata. In sintesi, eravamo di fronte ad una crisi strutturale con la globalizzazione che aveva investito tutto il territorio svizzero e l’aveva reso in breve tempo molto meno competitivo. Occorreva produrre ricchezza e adeguare rapidamente i nostri fattori di crescita e competitività per evitare l’alternativa di un declino controllato, un’opzione non praticabile.

L’idea di fondo delle “101 misure” era proprio quella di accrescere la competitività economica per generare opportunità e lavoro a beneficio di tutti, mantenendo salda la coesione sociale. Misure che si inserivano nel quadro di un Cantone universitario e dell’alleanza tra sapere e produrre che stava allora nascendo. Questo ambizioso programma fu accolto con interesse e anche entusiasmo da parte di imprenditori, di molti cittadine e cittadini e di associazioni economiche. Più tiepidi si mostrarono alcuni mass-media, partiti e organizzazioni.

Negli anni successivi, 81 misure su 101 furono realizzate appieno: in Ticino. Nel 2006 eravamo già in grado di presentare un bilancio positivo: il PIL reale pro capite era tornato a crescere recuperando il crollo della prima metà degli anni Novanta; inoltre, riducendo il carico fiscale su imprese e privati, il gettito delle entrate non diminuì, anzi si incrementò e il nostro territorio salì ai primi posti nella statistica federale del carico fiscale dei cantoni che permette il confronto intercantonale dell’attrattività fiscale. Infine, elemento non ultimo, il Cantone non era più ripiegato su sé stesso, ma si presentava aperto, innovativo, coraggioso, inventivo».

In quell’epoca venne anche lanciato il progetto Copernico…

«Copernico nacque nel 1997. Un programma che insieme con la legge sul rilancio dell’occupazione e a quella per l’innovazione economica, della quale divenne uno dei principali strumenti operativi, contribuì notevolmente al rilancio produttivo e competitivo, promuovendo qui e all’estero i vantaggi e gli incentivi per investire in Ticino. Grazie ai contributi per gli investimenti innovativi e alle aree industriali, agli incentivi fiscali e a quelli per l’assunzione, e supportati da rapidi servizi di consulenza necessari ad ogni imprenditore, il Cantone riuscì in pochi anni a far crescere aziende sul nostro territorio e ad attrarre imprese provenienti dall’estero che hanno creato sul nostro territorio centri di produzione, di ricerca e logistica. Oltre alle aziende ticinesi cresciute con questi stimoli, alcune si erano trasferite da altri Paesi: in generale si pensa all’Italia, ma in realtà piccole e grandi aziende sono arrivate qui da molti paesi d’Europa e anche da fuori. Nel tempo, purtroppo, questo programma e andato perdendo la sua forza propulsiva e non è stato adeguatamente aggiornato: oggi andrebbe completamente rivisto. E poi, da non trascurare il fatto che a livello locale sono gradualmente emerse perplessità, lentamente ma inesorabilmente si è diffuso un malessere (per esempio sull’aumento del traffico o sull’aumento della manodopera frontaliera) e un clima molto meno favorevole all’impresa».

Quali sono i problemi che oggi vorrebbe vedere affrontati con maggiore determinazione?

«Sono sempre stata una sostenitrice del buon governo finanziario: i conti in regola sono un indispensabile prerequisito per investire in progetti che possano favorire un ulteriore sviluppo. Penso che il declino di un territorio non sia in alcun modo un fatto inesorabile e che anche ogni piccola scelta possa essere un passo verso la crescita. Sarebbe dunque importante continuare a lavorare per migliorare la formazione, la fiscalità, i collegamenti, la sicurezza e la certezza del diritto. Questo è un aspetto fondamentale per la Svizzera: se un’azienda viene da noi, sa quali sono le regole da rispettare e può presumere che rimarranno invariate anche per anni. Un fattore di peso – anche e soprattutto perché il mondo sta andando nella direzione opposta – che non possiamo indebolire. Analogo discorso vale per i trasporti, che devono essere bene organizzati, efficienti e affidabili; e naturalmente contano molto la sicurezza e la qualità di vita, che già oggi da noi risultano essere migliori rispetto a quelle offerte da molti altri Paesi. Siamo stati e siamo ancora un territorio che offre buone condizioni, e dobbiamo continuare a migliorarle per radicare maggiormente qui tante belle realtà aziendali, anche grazie a forza lavoro ben qualificata».

Lei è da anni presidente di Ticinomoda. Perché questo settore riveste una così grande importanza nell’economia ticinese?

«La moda è uno dei motori di crescita del Ticino e garantisce migliaia di posti di lavoro, se si considera l’intero settore (o, tecnicamente, meta-settore). L’abbigliamento ha una tradizione ultrasecolare in Ticino e ha sempre saputo adeguarsi, trasformarsi, ricrearsi. La crescita però è a macchia di leopardo: ci sono piccole e medie aziende che fanno più fatica, e grandi e piccoli marchi in crescita continua. Il settore in Ticino è molto diversificato, sia come dimensione delle aziende, sia come tipo di lavoro: dalla produzione al design, dalla logistica alla gestione dei marchi.

I grandi marchi della moda hanno scelto il Ticino certamente per motivi di logistica, qualità dei servizi, apertura del mercato del lavoro e ottimo accesso a capitale umano di grande qualità, che non è tutto radicato qui, ma stiamo cercando di formare e perfezionare. Fondamentale è stata la vicinanza con Milano, che è una capitale della moda, coniugata con il sistema svizzero, che garantisce sicurezza giuridica e buone condizioni quadro in generale. Non sempre tuttavia politici e amministratori ticinesi hanno adeguatamente sostenuto questo circolo virtuoso: più aziende di un settore si insediano e sono attive nella nostra regione, e più il nostro territorio diventa interessante per imprese e attività di quel settore. Purtroppo da qualche tempo il clima politico è meno favorevole alle aziende e nei confronti dell’attività economica affiorano sentimenti di diffidenza o addirittura negativi. Ma questo settore è potuto nascere e crescere in Ticino perché vi era la consapevolezza che le aziende portano benessere».

Eppure vi sono alcuni settori in cui il Ticino avrebbe molte opportunità da sfruttare…

«Assolutamente sì. Ci sono vari progetti che sono stati avviati e che ora meritano di essere portati avanti con coraggio e determinazione. Basti pensare al ruolo che già oggi hanno le “scienze della vita” includendo i nostri centri di ricerca biomedica di prestigio internazionale, la Facoltà di Scienze biomediche dell’USI, e il settore farmaceutico con una rete di aziende ticinesi affermate e competitive.

Sempre nel campo della ricerca e dell’innovazione sta prendendo forma il progetto Swiss Innovation Park Ticino, iniziativa federale sviluppata in Ticino dal Consiglio di Stato con le associazioni economiche, in collaborazione con USI, SUPSI e aziende del territorio. L’obbiettivo è quello di creare una piattaforma per la collaborazione tra ricercatori, aziende high-tech e startup, al fine di stimolare attività creative, sviluppare e testare idee sostenibili e innovative e favorire il trasferimento della tecnologia e del sapere.  mettendo al centro l’innovazione, l’imprenditorialità e la messa in rete delle competenze presenti sul territorio a livello accademico, economico e istituzionale.

È già stato costituito il primo centro di competenza dello Swiss Innovation Park Ticino, lo ‘Swiss Drone competence Center’ (Sdbc), localizzato presso l’aeroporto di Lodrino. Con le industrie del settore e in stretta collaborazione con vari istituti accademici, intende diventare una piattaforma per lo sviluppo di concetti all’avanguardia e il supporto di progetti nel campo dei droni, ovvero nel potenziale innovativo ed economico di questa tecnologia. Parallelamente si sta lavorando a un centro di competenza sulle scienze della vita e ad uno sulla moda.

L’elenco delle iniziative potrebbe proseguire: il potenziale è notevole, pensiamo alle prospettive della logistica che oggi è un comparto dove la movimentazione delle merci passa attraverso l’adozione di soluzioni informatiche d’avanguardia. Oppure alla finanza, con il Ticino che aspira a diventare un polo di riferimento per la tecnologia Blockchain. E non dimentichiamo quanto sarebbe importante investire nel campo dell’istruzione, per mantenere una elevata qualità della formazione al passo con i tempi».

Con la realizzazione di AlpTransit si sono intensificate le riflessioni sul rafforzamento dell’asse Zurigo-Milano e sulle possibili ripercussioni riguardo al ruolo intermedio di Lugano. Qual è la sua opinione al riguardo?

«A dire il vero il dibattito sulle potenzialità di crescita del ruolo di ponte di Lugano e del Ticino nelle relazioni economiche e culturali tra Zurigo e Milano dura da almeno settant’anni. Spesso si è risolto in una pur lodevole dichiarazione di buone intenzioni che non di rado si sono scontrate con le difficoltà di stabilire un dialogo a livello istituzionale. Questo anche perché i diversi livelli istituzionali (nazionali, regionali, cantonali, comunali) dei due Paesi hanno competenze molto diverse e difficili da sintonizzare. E’ quindi fondamentale la buona volontà, l’impegno e il lavoro di associazioni culturali ed economiche e di singoli enti della società civile. A ciò si aggiunga il fatto che storicamente Zurigo guarda più a nord che a sud e il suo riferimento principale è rappresentato dalle regioni dellEuropa centrale.

Ciò premesso, la collaborazione fra realtà accademiche ed economiche avviene già oggi in molti campi e Lugano e il Ticino possono costituire una tappa intermedia e non soltanto un corridoio. Ma, lo ripeto, occorre premere ancor più l’acceleratore sulla cultura e verso l’innovazione intensificando la rete di collaborazioni di successo a tutti i livelli.

In un mondo sempre più competitivo – che si appresta a riorganizzarsi in aree geopolitiche ben distinte – essere in rete rappresenta una condizione di partenza imprescindibile per sviluppare competenze ed economia. Deve crescere la consapevolezza che investire nella cultura e nell’innovazione è una scelta di crescita del paese oltre che redditizia. La centralità geografica del Ticino, e non da ultimo la sua qualità di vita, sono risorse importanti per creare posti di lavoro altamente qualificati e attirare investitori, dando vita ad un circolo virtuoso fondamente per mantenere le condizioni di benessere raggiunte dal nostro territorio».

Geo Mantegazza
Per gentile concessione del Corriere del Ticino

Marina Masoni: “Il mio ricordo di Geo Mantegazza

«Nell’ambito della mia attività politica e nei ruoli istituzionali che ho ricoperto nel corso degli anni ho avuto diverse occasioni di incontrare Geo Mantegazza e devo dire che fin dalla prima volta si è stabilito tra noi un rapporto di grande affetto e simpatia. Ciò era probabilmente dovuto anche al fatto che ero figlia di un suo compagno di giochi e di infanzia (NdR: Franco Masoni, avvocato, poeta, già deputato al Gran Consiglio ticinese, al Consiglio Nazionale e al Consiglio degli Stati, che ha presieduto) e che Geo e mio papà tra loro erano rimasti legati da uno stretto rapporto di stima reciproca e amicizia. In una certa misura si può quasi dire che egli rivolgesse verso di me una sorta di senso di protezione, accentuato probabilmente da quel rispetto e quella forma di cortese gentilezza che esercitava sempre nei confronti delle donne.

Un altro aspetto del suo carattere che mi ha sempre colpito, e che certamente favoriva tutti i suoi rapporti di lavoro e le relazioni sociali che intratteneva, riguarda la grande solarità e la disponibilità con cui dapprima accoglieva e poi ascoltava le ragioni dei suoi interlocutori. Il che non significa affatto che poi fosse arrendevole nel sostenere le sue argomentazioni, solo che le sue opinioni, sostenute da una solida preparazione riguardo alle materie sulle quali interveniva, erano sempre presentate con un tono pacato e distaccato, distante per natura dalle polemiche inutili e pretestuose.

Una conferma di questa serena determinazione mi viene anche dai ricordi di mio padre che ha avuto modo di lavorare direttamente con lui quando erano entrambi consiglieri comunali a Lugano per il Partito Liberale Radicale: Geo Mantegazza era una persona che durante tutto il suo mandato era sempre molto presente, studiava attentamente i dossier e i messaggi, dimostrando una grande capacità nel coniugare la propria attività professionale con una profonda considerazione dell’importanza e del valore etico dell’interesse del Paese, che tanto amava».