Dottor Mauro Molina, una domanda che interessa particolarmente i pazienti sottoposti ad artroprotesi riguarda la durata degli impianti all’anca o al ginocchio. Qual è la situazione a tale proposito?
«L’intervento di artroprotesi consiste come è noto nel sostituire le strutture anatomiche dell’anca o del ginocchio, ormai danneggiate, con l’impianto di componenti meccaniche che permettono di restituire all’articolazione la sua funzionalità e risolvere il dolore. Con l’evoluzione dei materiali e delle tecniche chirurgiche si è assistito ad un significativo aumento di sopravvivenza degli impianti nel tempo. In particolare, oggi le nuove superfici delle protesi permettono una migliore fissazione all’osso, il polietilene di nuova generazione ha un’usura minore rispetto a quello usato in precedenza, e la ceramica per uso biomedico ha una resistenza maggiore; i nuovi accoppiamenti polietilene/ceramica, e ceramica/ceramica hanno un bassissimo coefficiente di usura ed hanno contribuito a conferire all’impianto una sopravvivenza più lunga. Lo sviluppo di steli protesici più piccoli e meno invasivi ha permesso inoltre minore aggressività sulle strutture ossee, e la possibilità di impiantare l’artroprotesi con tecniche mini invasive, molto meno traumatizzanti sulle strutture muscolari, con conseguente beneficio sulla ripresa del paziente. In conclusione, i dati disponibili documentano un’ottima sopravvivenza degli impianti a 15 anni, ma considerando che le protesi impiantate in questi ultimi anni hanno caratteristiche tecniche senza dubbio superiori a quelle di circa due decenni fa, la durata delle protesi è destinata a salire oltre i 20 anni per quelle del ginocchio e 25 anni per quelle dell’anca».
In un limitato numero di casi si registra tuttavia un fallimento dell’impianto. Quali sono le principali cause dell’insorgenza di possibili problematiche?
«I materiali costituitivi non sono l’unico elemento che può influenzare il possibile fallimento della protesi stessa. Vanno considerati altresì fattori legati al paziente stesso come l’obesità, le attività sportive o lavorative traumatiche, l’osteoporosi e le infezioni precoci o tardive, che possono ridurre i tempi di sopravvivenza della protesi. È da sottolineare poi che il successo nel tempo è anche legato alla tecnica chirurgica, peraltro molto migliorata nel corso degli anni, che deve essere precisa e meticolosa e permettere un corretto posizionamento delle componenti in modo che queste possano lavorare in modo omogeneo ed armonico. Infatti un fattore fondamentale per la longevità dell’artroprotesi è proprio che lavori con una corretta meccanica ed in modo stabile; questo avviene quando le componenti sono ben posizionate, le strutture legamentose correttamente bilanciate dal chirurgo e le strutture muscolari tonificate con particolari programmi fisioterapici».
Quali sono i casi in cui occorre intervenire con la chirurgia di revisione protesica?
«A parte i danni subiti da eventi esterni come le fratture periprotesiche, determinate da la cadute o incidenti vari, che rappresentano la 3° causa di revisione delle protesi; la principale causa rimane la mobilizzazione asettica, ossia il distacco della protesi dall’osso per usura delle componenti con formazione di detriti responsabili dei difetti ossei (25% dei casi nel registro nazionale svizzero), che sta però diminuendo, come detto, grazie al miglioramento dei materiali. A queste si aggiungono l’instabilità della protesi conseguente al ottimale allineamento dell’impianto stesso, che può causare dolore o addirittura lussazione dell’impianto con necessità di sostituzione dello stesso.
Le infezioni rappresentano poi circa il 15% dei fallimenti degli impianti protesici e possono essere precoci per contaminazione in sala operatoria o per una cattiva gestione della ferita. Oppure tardive ossia compaiono a distanza di anni per varie cause tra cui debilitazione del paziente, patologie croniche, diabete o infezioni legate a un’altra sede corporea».
In cosa consiste l’intervento di revisione protesica?
«In molti casi è possibile intervenire sostituendo una o più componenti della protesi già impiantata, utilizzando impianti molto simili ai precedenti o leggermente piú ingombranti per colmare i difetti ossei. Per le gravi perdite ossee, oggi si può ricorrere a impianti studiati su misura e personalizzati alla problematica del paziente. In quest’ultimo caso si tratta di impianti molto costosi e che si usano in casi assolutamente eccezionali in quanto è sempre meglio anticipare le grandi perdite ossee con revisioni più precoci. Proprio per questo motivo è importante un’attenta sorveglianza dell’evoluzione delle protesi, facendo attenzione ai primi campanelli di allarme che sono sempre rappresentati da dolori nuovi, peristenti e talvolta ingravescenti».
La struttura operativa presente presso Ars Medica come affronta le diverse problematiche che possono insorgere nel paziente?
«Il nostro reparto di Ortopedia si avvale delle specifiche competenze di diversi medici ortopedici che, con un lavoro sinergico, sono in grado di prendere in carico il paziente con problemi inerenti ad un possibile fallimento di un impianto protesico. Dopo aver proceduto a tutti gli esami diagnostici per accertare con precisione la natura del non corretto funzionamento della protesi, il paziente potrà ricevere tutte le opportune indicazioni terapeutiche e, nel caso fosse necessario, accedere a un intervento chirurgico di revisione delle protesi».