In linea di principio, tutti sono a favore dell’utilizzo il più possibile delle fonti di energia rinnovabili, come sole, vento e acqua. Dopo tutto, esse sono disponibili in quantità illimitate e sono rispettose del clima. Però, al contempo, è chiaro che molti le guardano con meno favore non appena si tocca loro il portafoglio. In questo contesto, non sorprende che il recente aumento dei prezzi dell’elettricità abbia riacceso la discussione sociopolitica su inflazione, politica climatica e conseguenze per i mercati dei capitali. Gli esperti stanno già ammonendo sulla «greenflation», una forte ondata di rincari causata dalla svolta energetica. Cosa significa tutto questo per gli investitori?
Il net zero e la sua influenza sui mercati
Al fine di calmare le acque, visto il costante rialzo dei prezzi energetici, la Commissione europea sta recentemente considerando di assegnare un marchio di sostenibilità alla generazione di elettricità da energia nucleare o gas. L’obiettivo dichiarato dell’Unione consiste nell’aumentare la quota di fonti energetiche rinnovabili, passando dall’attuale 39 all’85%. Se anche la corrente prodotta tramite nucleare e gas fosse inclusa in questa categoria, la quota sarebbe già oggi dell’84%.
Tuttavia, i mercati dei capitali sono tuttora preoccupati per la «greenflation», o per un’inflazione persistente (in senso stretto, «greenflation» significa un rincaro dovuto all’aumento dei prezzi delle materie prime, che a loro volta sono sempre più richieste a fronte del processo di trasformazione «verde»). Infatti, in primo luogo, le considerazioni della Commissione di Bruxelles sono piuttosto controverse, e, in secondo luogo, l’aumento dei prezzi della corrente ha diverse cause: la sovrastimolazione dell’economia globale gioca un ruolo altrettanto importante quanto le attuali tensioni geopolitiche e le sfavorevoli condizioni climatiche dell’anno scorso. In terzo luogo, la componente energetica nell’inflazione al consumo ha effetti molto diversi nei diversi paesi. Ad esempio, pesa più del doppio in Germania (circa 11%) che non in Svizzera (5,3%). Ciò determina andamenti dell’inflazione decisamente differenti.
Ciò che attualmente preoccupa gli investitori è – in sintesi – il prezzo sconosciuto della svolta energetica. Ancora una volta, la scorsa settimana i mercati obbligazionari sono stati all’altezza della loro infausta reputazione. Nel corso di una piccola scossa del mercato obbligazionario, i rendimenti a lungo termine sono saliti e hanno innescato grandi rotazioni su tutti i mercati dei capitali. Negli USA, ad esempio, il rendimento a 10 anni è cresciuto all’1,8 per cento – il livello più elevato da due anni. In Germania e in Svizzera, questi rendimenti sono saliti ai loro livelli più alti da tre anni, ossia rispettivamente a poco più di –0,02 e 0,03 per cento. Bisogna ammettere che tutto questo sembra essere molto rumore per nulla. Ma sui mercati globali, com’è noto, non è il livello che conta, bensì il movimento. Un po’ come il proverbiale battito di ali di una farfalla, il rialzo globale dei rendimenti ha innescato significativi timori sull’inflazione e ha fatto ruotare i prezzi delle azioni in tutto il mondo: le valutazioni dei titoli «growth» statunitensi, scambiati a 16 volte i giri d’affari un anno fa, si sono ridotte a 7 volte i rispettivi giri d’affari. Le azioni «value» ad alto rendimento e difensive – in cui siamo sovrappesati – stanno attualmente guadagnando valore. L’indice «Clean Energy» globale è sceso al minimo di 63 settimane, mentre l’indice dell’energia nucleare ha evidenziato una tendenza al rialzo a favore degli investitori.
Sui mercati obbligazionari, le aziende hanno raccolto l’equivalente di 93 miliardi di franchi svizzeri di capitali freschi solo nella prima settimana di negoziazione del 2022. Si tratta del secondo valore più alto della storia – dopo il record legato alla pandemia dell’anno scorso. Poiché le aziende vogliono proteggersi da un possibile aumento dei costi del capitale tramite finanziamenti tempestivi, i rendimenti medi delle obbligazioni investment grade americane sono saliti dal 2,65 al 2,94%. Ancora una volta vediamo che sui mercati globali dei capitali tutto è interconnesso. E si tratta di un elemento in comune con il clima.
Il grande divario
Il Fondo Monetario Internazionale (FMI) stima che per rispettare l’Accordo di Parigi sul clima è necessario un prezzo minimo globale del carbonio di circa 75 dollari USA a tonnellata – ma attualmente tale prezzo è meno di quattro dollari USA a tonnellata. In base agli attuali consumi annuali di carbonio, la stima del FMI corrisponderebbe a un aumento del costo globale del carbonio di 3,6 bilioni di dollari – o al 4,2% della produzione economica globale. Ma il mondo è politicamente ed effettivamente lontano da una tale prezzo del CO2. È vero che una tonnellata di carbonio costa attualmente 81 euro nell’ambito degli scambi dei certificati per il CO2 in Europa. Ma solo poche aziende devono preoccuparsi al riguardo. Poiché solo i settori industriali ad alta intensità energetica, come le raffinerie petrolifere o i produttori di elettricità, sono finora tenuti ad acquistare certificati di emissione nell’UE – e solo dopo aver esaurito una quantità di base gratuita. Tutti gli altri settori nell’UE non sono ancora tenuti a pagare per i consumi di CO2, sebbene tutto questo sia destinato a cambiare in futuro. In sintesi: colmare immediatamente il divario tra i costi reali del carbonio e quelli pattuiti in virtù dell’Accordo di Parigi corrisponderebbe a un’imposta sul CO2 globale di circa il 4% del risultato economico ogni anno. Ma le differenze regionali sono consistenti. La Tabella 1 illustra che un prezzo del CO2 più alto di 10 USD avrebbe un impatto relativamente modesto sull’economia e sull’inflazione in Europa. Non c’è da stupirsi che la volontà politica di estendere le imposte sul CO2 ad altri settori sia relativamente forte nell’UE – e recentemente anche negli USA.
Come fa la decarbonizzazione – la più grande trasformazione della nostra economia – ad avere successo, se non con una combinazione di imposizioni e promozioni, l’uso simultaneo di carota e bastone? Dopo tutto, la legislazione europea sul cambiamento climatico adottata nel giugno 2021 chiede una riduzione delle emissioni di carbonio dell’UE fino a un valore netto pari a zero entro il 2050. Naturalmente, in un mondo ideale, l’abbandono dei combustibili fossili verrebbe accompagnato da un’espansione delle fonti energetiche rinnovabili. Di fatto, i costi delle energie rinnovabili sono scesi significativamente negli ultimi anni. Il prezzo dell’energia solare è calato dell’85 per cento dal 2010. Sono probabili ulteriori progressi dirompenti. È del tutto verosimile che i costi marginali delle energie rinnovabili si avvicineranno un giorno allo zero. Nel contempo, le energie rinnovabili sono più economiche di tutte le fonti di energia fossile, e persino più vantaggiose del nucleare. Ma il problema è la scalabilità.
Nella scalabilità occorre mettere praticamente in conto colli di bottiglia e conflitti. Costruire nuove centrali elettriche richiede tempo e capitali. I costi di costruzione delle infrastrutture rinnovabili aumentano, come lo dimostra l’incremento dei prezzi del silicio. Al contempo, le capacità di estrazione dei combustibili fossili si riducono, rendendoli più costosi. Il risultato sono fluttuazioni dei prezzi relativi, una volatilità dell’inflazione generalmente più alta ed effetti secondari nella politica, nell’economia e nella società. Molto di tutto questo si percepisce già oggi – non solo sui mercati azionari. Alcuni esempi:
- La greenflation ha un effetto regressivo, colpendo le economie domestiche a basso reddito più duramente di quelle ricche. I sussidi per i combustibili fossili sono quindi politicamente indispensabili, soprattutto nei paesi relativamente poveri. Sebbene siano controproducenti in termini di politica climatica, si ritiene che non vi siano alternative sul piano della politica sociale.
- La paura della greenflation può facilmente portare a spirali dei prezzi dovute agli accaparramenti dettati dalla foga. Una volta avviati, tali cicli sono difficili da controllare.
- La greenflation può innescare effetti secondari globali. Il recente aumento delle spese di trasposto e dei costi di produzione li ha messi in evidenza, e lo stesso dicasi per le dimostrazioni di forza a livello geopolitico della Russia.
- La greenflation mette in moto grandi variabili macro: mercati finanziari, politica monetaria, politica climatica, congiuntura e altro ancora. Temi che certamente ci occuperanno spesso nel 2022.
La greenflation può prolungare artificialmente la durata della svolta energetica, minando la volontà politica che ne sta alla base. In sintesi: la greenflation rimane una sfida centrale per gli investitori nel 2022. È del tutto possibile che accresca la volatilità generale dei mercati finanziari, richiedendo agli investitori nervi più saldi nel 2022 rispetto all’anno scorso. In occasione della recente riunione del nostro Investment Committee abbiamo discusso in dettaglio molte delle relative sfaccettature.
L’effetto sugli investitori
Menzioniamo tre implicazioni per gli investitori:
Futuro dell’energia nucleare?
Nelle ultime settimane, molti investitori ci hanno posto delle domande sull’importanza e sulle prospettive economiche dell’energia nucleare. Con la moderazione del rinomato Aspen Institute, abbiamo recentemente fornito il nostro supporto a una tavola rotonda2, dove sono confluite parecchie conoscenze su questo argomento. Il mio collega Jens Zimmermann ha anche pubblicato un Research Alert sull’argomento, che vale la pena leggere3. Esso mostra come la nuova «tassonomia dello EU Green Deal» e la proposta dell’UE di includere l’energia nucleare e il gas negli investimenti ESG4 porteranno probabilmente a una crescita delle corrispondenti infrastrutture. In particolare, lo studio cita le aziende che potrebbero beneficiare di questo andamento in diverse aree di business.
Vento favorevole per le azioni «difensive»
«La grande transizione», così era intitolato il nostro Investment Outlook 2022. Senza dubbio, la svolta energetica globale sarà una delle maggiori transizioni di questo decennio. Ma anche considerando una prospettiva di breve termine, quest’anno stanno emergendo grandi transizioni, influenzate dalla preoccupazione sulla greenflation. La politica monetaria – soprattutto quella banca centrale americana – sta cercando di trovare una nuova «normalità» a fronte dell’aumento dei prezzi. Le mosse sul fronte dei tassi d’interesse e la normalizzazione dei suoi acquisti obbligazionari rientreranno in questo quadro, così come una maggiore volatilità dei mercati finanziari. La politica fiscale negli USA e in Europa cercherà nel contempo di stimolare la transizione energetica tramite i programmi infrastrutturali. È probabile che il passaggio dalla pandemia all’endemia metta fine anche alle strozzature delle catene di approvvigionamento e porti a un superamento dello zenit dell’inflazione. Durante questa fase di transizione, le borse potrebbero presentarsi burrascose, e le azioni difensive dovrebbero godere di un vento favorevole.
Investire tematicamente
Da ultimo, occorre ribadire che il Supertrend della transizione energetica è solo agli inizi del suo sviluppo. Chiunque abbia comprato un’azione Apple nel 1980 è oggi un milionario. L’esempio illustra che il segreto poco appariscente degli investimenti tematici presenta aspetti importanti: scelta del giusto tema e pazienza come virtù senza tempo.
Attualità dall’Investment Committee di Credit Suisse
Dopo il successo avuto lo scorso dicembre con la nostra recente riduzione dei rischi, abbiamo discusso i diversi andamenti che stanno attualmente muovendo i mercati. Mentre i rialzi dei prezzi e la politica monetaria della banca centrale americana, prevedibilmente meno stimolante, stanno mettendo sotto pressione soprattutto gli asset con una duration elevata, continuiamo a individuare un solido supporto nella prospettiva di una crescita ancora solida dell’economia, degli utili e della produttività, nel posizionamento cauto degli investitori e nella liquidità ancora consistente dell’economia in generale. Risulta del tutto probabile che potremmo essere solo all’inizio di grandi rotazioni – ancora maggiori nei settori summenzionati, e, più in generale, in Supertrend con un’alta visibilità degli utili e una valutazione moderata. Confermiamo la nostra attuale strategia d’investimento e non rileviamo ragioni imperative per modificarla in una direzione o nell’altra.