«Purtroppo le dobbiamo comunicare che la produzione dei vaccini non rientra nelle nostre competenze», ci ha detto Emanuela Malacrida, CEO Personal Assistant di Cerbios. «Zambon Svizzera non è attiva nella produzione di vaccini, e d’altra parte le sue domande toccano problemi di politica sanitaria ai quali non possiamo rispondere», ha dichiarato il General Manager di Zambon Svizzera Giampiero Roncoroni. Gli ha fatto eco Silvia Misiti, Head of Corporate Communication & CSR di IBSA: «Essendo il business di IBSA molto lontano dal settore vaccini e virus, non abbiamo una posizione a livello corporate in merito». Non è andata meglio con l’IRB: «Non rientra nelle nostre competenze esprimerci su argomenti di carattere politico-economico», ci ha replicato Stéphanie Savary, assistente dell’Ufficio del Direttore. Non si è espresso nemmeno Swissmedic: «Siamo l’autorità svizzera di autorizzazione e sorveglianza per gli agenti terapeutici. Ci assicuriamo che i prodotti terapeutici autorizzati siano di qualità impeccabile, efficaci e sicuri. La questione delle priorità in materia di ricerca e approvvigionamento di vaccini deve essere posta alle aziende farmaceutiche o al legislatore».
In effetti l’argomento coinvolge sia interessi sanitari che economici e non lo nasconde il Dottor Ricardo Mestre Pereira, capo di Oncologia medica presso lo IOSI e partecipante a alcune ricerche sul Covid. «Produrre o no un vaccino è una scelta strategica delle aziende. È efficace sul rischio di morte, ma dal punto di vista della casa farmaceutica non ha un alto margine di guadagno. È più vantaggioso curare un paziente col Covid piuttosto che sviluppare un vaccino, è la realtà».
In Ticino la Humabs ha sviluppato un anticorpo monoclonale chiamato VIR-7831, capace pare anche di captare le varianti. Lo stesso Mestre Pereira sta collaborando allo sviluppo di un farmaco che è di fatto un anti ormone maschile, che blocca dunque gli ormoni maschili. «Una delle porte d’entrata più importanti del virus all’interno della cellula è esclusivamente controllata da ormoni maschili. La nostra ipotesi è di bloccarla con un farmaco che si usa per il tumore della prostata. Lo testiamo su pazienti ad alto rischio che stanno ancora tutto sommato bene, sono nei primi giorni dell’infezione: maschi con più di 50 anni e almeno un fattore di rischio per un Covid più grave».
Una ricerca di colleghi brasiliani e americani ha dimostrato che un farmaco con lo stesso principio ha un’efficacia del 92%. Un altro studio in cui è coinvolto il medico cerca di capire se chi possiede un dato polimorfismo che metabolizza diversamente gli androgeni abbia un rischio maggiore di ammalarsi.
Il dottore ritiene come l’approccio migliore per tornare alla normalità sia combinare vaccini con farmaci curativi. «Non potremo immaginare di trattare i malati col Covid senza vaccinarli, pagheremmo un caro prezzo di vite umane. La vaccinazione è la via migliore e bisogna insistere su scala mondiale, anche andando ad azzerare le differenze tra i paesi. Lo sviluppo dei farmaci serve per chi si ammalerà comunque, dunque servono cure contro il Covid. Non solo qualcuno su cui non ha funzionato il vaccino, ma che non vi ha avuto accesso o su cui ha smesso di essere efficace. Non sappiamo quanto dureranno gli anticorpi (per quello di Moderna pare sei mesi, ndr), serviranno richiami e il rischio di avere pazienti con Covid nei prossimi anni è alto».
Ma i vaccini sono davvero efficaci? Per Mestre Pereira, coi dati attuali si sa che impediscono di ammalarsi gravemente, non è detto che chi, pur vaccinato, contragga il Coronavirus in forma leggera non possa trasmetterlo. E l’efficacia sui pazienti non sani è ancora da vedere.
In molti temono gli effetti collaterali. Miro Venturi, CEO di Sintetica, ci ha risposto come «ogni medicinale non è scevro di possibili effetti collaterali, con i quali conviviamo spesso senza preoccuparcene, in maniera pressoché giornaliera. L’industria farmaceutica segue rigorosissimi protocolli che richiedono la segnalazione e la comprensione dei cosiddetti “eventi avversi” sia nei pazienti durante i tests clinici che ad avvenuta entrata sul mercato del farmaco medesimo. Io ho fiducia in questi processi, che non vengono solamente guidati dall’industria farmaceutica, bensì anche riportati e sorvegliati dalle autorità pubbliche».
Ma perché in Svizzera nessuno ha prodotto un vaccino, nonostante la presenza di colossi come Roche e Novartis? Matthias Leuenberger, Country President di Novartis Switzerland, ci ha detto: «Novartis ha preso la decisione strategica di concentrarsi sulla messa a punto di farmaci. Nel 2015 abbiamo ceduto la nostra attività di vaccini e dal 2018 abbiamo concentrato i nostri sforzi di ricerca e sviluppo su malattie infettive come la malaria e su una serie di malattie tropicali trascurate. La nostra strategia è quella di costruire un’azienda farmaceutica leader e focalizzata, alimentata da piattaforme terapeutiche avanzate e scienza fondata sui dati». Novartis ha però annunciato di recente un accordo iniziale per fornire capacità di produzione a Stein per il vaccino Pfizer-BioNTech Covid-19: «Oltre a ciò, stiamo ora espandendo i nostri sforzi con l’accordo per rilevare la produzione dell’mRNA e del prodotto farmaceutico sfuso per il vaccino Covid 19 CVnCOV per CureVac a Kundl (Tirolo, Austria). Detto questo, la tematica della produzione di vaccini Covid è attualmente molto dinamica, e ulteriori discussioni sono in corso».
Il Dottor Riccardo Braglia della Helsinn ci ha dato la sua spiegazione sulla motivazione per cui da noi non si è cercato di produrre vaccini: «Sarebbe stato impossibile in tempi così brevi (10-11 mesi), in quanto in Svizzera non esiste la tecnologia necessaria a sviluppare vaccini, e la costruzione di un impianto apposito con la relativa tecnologia richiede diversi anni. Inoltre, un impianto produttivo di vaccini finalizzato al solo mercato svizzero non avrebbe la massa critica e la conseguente redditività».
La svizzera Lonza, che collabora con Moderna e che abbiamo invano provato a contattare, aveva proposto al Consiglio Federale di creare una linea di produzione in Vallese, a detta dei vertici capace di coprire in poche settimane il fabbisogno svizzero con 100 milioni di dosi all’anno, ricevendo una risposta negativa. Per Berset non è mai stata invece un’opzione. A metà aprile Dan Staner, vicepresidente del produttore americano di vaccini Moderna, gli ha dato ragione, spiegando che la Svizzera non avrebbe avuto una situazione diversa da quella attuale, caratterizzata da continui ritardi».
Il Ticino, comunque, toccato dalla prima ondata con particolare forza, ha dato il suo contributo. Le ricerche a livello di EOC sono numerose. Secondo Giovanni Mazzei, neo presidente dell’Associazione Farmaceutici Ticinesi, «sarebbe stato auspicabile il coinvolgimento nella filiera logistica, sfruttando principalmente i magazzini delle aziende produttrici. Tali siti e i relativi magazzini, oltre a essere già approvati da Swissmedic, possono esibire misure strutturali adatte allo stoccaggio dei vaccini, così come personale formato e idoneo a movimentare tali sofisticati e delicati prodotti». Tuttavia, conclude «l’industria farmaceutica ticinese sta contribuendo in prima linea alla lotta contro la Covid19, grazie al proprio know-how nello sviluppo di farmaci per la cura della malattia».