Pierluigi Tami, la carica di direttore delle squadre nazionali maschili è la più importante a livello tecnico. Come ci si sente sul tetto del calcio?
«Ho una visione del mio lavoro già proiettata al 2026 con obiettivi a medio e lungo termine che prepariamo ogni mese grazie a riunioni mirate dell’area sportiva e tecnica, che parte dall’allenatore della nazionale maggiore Murat Yakin fino al responsabile della Under 15. Sette allenatori e cinque team manager che seguono delle linee guida per garantire la stessa identità al calcio svizzero di oggi e di domani, senza focalizzarsi unicamente sul risultato puro».
Come coordina questo grande impegno collettivo?
«Si tratta proprio di un lavoro di squadra orientato alla conoscenza delle caratteristiche di ogni allenatore e delle nostre forze, che sono impiegate direttamente sul campo e che hanno come obiettivo finale per ogni sport la parte competitiva. La nostra volontà è proprio quella di affinare la coesione delle qualità dell’area tecnica con lo scopo di preparare i giocatori a migliorare le loro prestazioni a livello di squadre nazionali».
Con quali strumenti?
«Ci muoviamo su tre livelli, di cui due prettamente sportivi, che vanno dall’elemento “idea di gioco” in un contesto del calcio moderno sempre più curato nei minimi dettagli, che passa poi alle strategie di gioco e al sistema tattico che viene scelto dall’allenatore sulla base dei nostri punti forti e di quelli dell’avversario. Il perno è costituito dalla responsabilità che ogni allenatore è chiamato con i suoi giocatori ad assumere per rappresentare i valori della Svizzera calcistica sul campo e anche fuori, un autentico codice di comportamento che per noi è alla base di ogni prestazione e – di conseguenza – di ogni risultato sportivo e di immagine».
La componente della casualità e della fortuna condizionerà sempre il successo in ogni competizione sportiva. Come considera questi fattori?
«Risultano ingestibili per tutti, lo sport è continuamente influenzato da episodi. Da parte nostra, ci concentriamo sulle certezze che sono di nostro dominio: la prestazione dei singoli e del gruppo, il possesso della palla, la presenza nell’area di rigore avversaria, l’aspetto atletico e altri dettagli. È matematico che alzando percentualmente questi valori, la possibilità di segnare un gol aumenta e di conseguenza anche la vittoria non è affidata solo al caso».
Che ruolo ha lei nella pianificazione dei grandi appuntamenti come gli Europei o i Mondiali?
«Mi confronto regolarmente con il nostro team manager Damien Mollard, che pianifica tutto quanto ruota attorno alla partita o a un evento, compresi gli spostamenti della Nazionale in Svizzera e all’estero. Nel caso del Qatar ci siamo affidati anche ad un’agenzia esterna per monitorare la situazione delle strutture anche da un punto di vista del rispetto dei valori del personale».
I diritti dell’uomo sono stati al centro di approfondimenti anche da parte di Amnesty International per questo discusso Mondiale, che ha portato alla luce statistiche raccapriccianti con oltre 15’000 morti fra i lavoratori stranieri impiegati tra il 2010 e il 2019…
«Un tema dominante che l’Associazione Svizzera di Football ha voluto tenere in considerazione nel massimo rispetto delle scelte logistiche che è stata chiamata a fare. Il campo base per gli allenamenti e le regole di gestione dell’hotel di recente costruzione in cui abbiamo deciso di stabilirci hanno assicurato i criteri che avevamo posto sin dall’inizio e le condizioni di lavoro sono state oggetto di verifica».
Il periodo autunnale in cui è stata inserita la massima competizione mondiale, solitamente proposta in estate, ha stravolto la preparazione dell’evento. Come ha vissuto l’approccio alla World Cup 2022?
«Ogni selezionatore si è basato principalmente sulla forma del momento dei suoi convocati. I vari campionati si sono chiusi pochi giorni prima del calcio d’inizio della partita inaugurale dei Mondiali in Qatar e per ogni nazionale partecipante non c’è stato un periodo specifico di preparazione tecnica e fisica».
Davvero una prima assoluta…
«Il fattore stanchezza, che spesso accompagna i campioni più impiegati durante la stagione in una grande competizione internazionale, ha lasciato spazio alla freschezza dei singoli che hanno saputo rispondere con una presenza di rilievo che ha alzato il livello di tutta la rosa. Il classico ritiro per pianificare questo genere di manifestazione è venuto a cadere».
Come ha reagito il nostro commissario tecnico Yakin?
«Murat ha confermato di sapersi adattare con intelligenza a ogni situazione. La qualificazione nel gruppo dell’Italia ha un’origine ben precisa in questo senso. Il nuovo allenatore, che ha preso il posto di Vladimir Petkovic a capo di una squadra già solida e dalla mentalità positiva, non ha rivoluzionato nulla, confermando uno staff consolidato che gli ha permesso di inserirsi subito in maniera costruttiva e con umiltà nella sua nuova realtà professionale».
Con lei gravitano diversi ticinesi nell’orbita rossocrociata.
«Appartengono a un team allargato che lavora con impegno ed entusiasmo. Vincent Cavin, “match analyst” e ora vice di Yakin, ma anche Patrick Foletti, Damien Mollard, senza dimenticare il lavoro svolto da Mauro Lustrinelli con la Under 21, e da pochi mesi pure le nuove competenze di Massimo Immersi con la Under 15: sono parte integrante di una realtà federale che aumenta il potenziale di tutto il gruppo che ho la fortuna di dirigere».
Klopp del Liverpool, Guardiola del Manchester City e Simeone dell’Atletico Madrid sono gli allenatori che stima in particolare, ma il suo cuore tifa per altre squadre. Quali?
«Le origini di mio padre Carlo e di mia madre Andreina sono bergamasche e di conseguenza l’Atalanta mi appassiona, anche se non nascondo la mia fede rossonera per il Milan».
E la donna del suo cuore?
«Ursula, sempre comprensiva in un mondo che comporta diversi sacrifici per i familiari. È una moglie forte che mi ha sempre sostenuto nelle mie scelte, lei che è stata insegnante di scuola elementare, oggi vicepresidente della Società Atletica e Ginnastica di Gordola con una carica in ambito politico come consigliera comunale a Minusio. Due-tre giorni la settimana sono soprattutto a Berna, il 90% dei miei spostamenti in auto, treno o aereo è dedicato al calcio».
Pierluigi Tami, padre e nonno felice in forma smagliante
Clusone, città di quasi 9’000 abitanti della Val Seriana nell’alto Bergamasco, dove i grandi artisti hanno lasciato il loro genio, è il luogo in cui il 12 settembre 1961 è nato un altro numero uno, Pierluigi Tami, del segno della Vergine come Paulo Coelho, Andrea Bocelli, Sean Connery, Richard Gere, Sophia Loren o Claudia Schiffer.
Padre di tre figli (Mattia di 38 anni, Alessandro di 34 e Nicole di 18) e nonno di altrettanti nipotini, l’attuale Direttore delle Squadre nazionali maschili dell’Associazione Svizzera di Football ha fatto strada proprio nel calcio, prima da giocatore (nelle file di Locarno, Chiasso, Bellinzona e Lugano (con cui ha vinto la Coppa Svizzera nel 1993), da allenatore (finalista agli Europei Under 21 alla guida della Svizzera) e ora, dal 2019, da alto dirigente dell’ASF. «Ogni tappa di questo percorso mi ha regalato soddisfazioni enormi e sono fortunato di poter continuare ancora oggi a svolgere il lavoro che amo. Ho rinnovato il mio contratto fino al 2024 e mi concentro sul programma che ho fissato con il presidente federale Dominique Blanc per un continuo sviluppo del calcio svizzero, dalla nazionale maggiore fino alla Under 15».
«Pierluigi Tami ha migliorato ulteriormente il livello delle nostre squadre e delle nostre strutture grazie a un lavoro professionale in profondità», ha voluto precisare Blanc al momento del rinnovo della collaborazione con il suo direttore tecnico, che prevede già un’opzione di rinnovo. «Il 2024 è ancora lontano, dopo questi Mondiali ci aspetta la campagna per il prossimo Europeo che si terrà in Germania, anche se è giusto avere già un occhio rivolto pure all’edizione della Coppa del Mondo 2026 negli Stati Uniti, in Messico e Canada», conclude Pierluigi Tami.
Foto di Toto Marti