Ma Ajla è anche una laureanda in filologia romanza, una donna carismatica ed energica, cosciente che la sua generazione dovrà portare ancora grandi cambiamenti nella società, pensiamo soprattutto alle donne, le stesse donne che solo cinquant’anni fa acquisivano il diritto al voto.
Fisso un’intervista via zoom durante uno dei primi lunedì autunnali e quando Ajla si collega è elegantissima, sorridente, esattamente come siamo abituati a vederla sui giornali. Peccato che la qualità della connessione sia pessima, quindi decidiamo di posticipare il nostro incontro virtuale all’indomani. Quando mi ricollego la ritrovo davanti a me sorridente, struccata e in tuta, ma sempre con quel suo sorriso contagioso, capace di creare un’empatia immediata.

Oggi riesco a sentirti bene, dove ti sei sistemata?

(Sorride) «Sono a casa dei miei, ad Ascona, qui la connessione dovrebbe essere buona».

Sono curiosa di sapere dove stavi andando ieri sera, eri a Losanna?

«No, no, in questo momento sono in Ticino e ieri sera avevo un evento allo Splash and Spa di Rivera, durante il quale è stata presentata un’associazione che vuole aiutare gli sportivi a pianificare meglio il loro futuro, in poche parole vuole evitare i problemi e le depressioni legate al dopo carriera agonistica».

Un tema molto interessante, soprattutto perché la vita di uno sportivo può cambiare da un momento all’altro. Se non sbaglio tu sei comunque anche una studentessa…

«Sì, e mi piace molto quello che sto facendo. Ormai sono a Losanna dal 2015, studio storia e italiano. Mi manca la tesi di Master, ma ora la voglio assolutamente terminare».

Possiamo sapere di che cosa parlerà questa tua tesi?

«Non sono sicura sia un tema che interessi il grande pubblico (ride). Sto analizzando dei manoscritti del sedicesimo secolo, testi poetici scritti in ambiente farnesiano (i Farnese erano una nobile dinastia del Rinascimento italiano). Il mio compito, se possiamo definirlo così, è quello di capire in che contesto queste poesie siano nate e parallelamente in quale tipo di ambiente i poeti abbiano lavorato».

Sono rare le persone che si dedicano alla filologia romanza, come mai questa scelta?

«Non è stata proprio una scelta (tono simpatico). L’anno scorso, durante la pandemia, non si sapeva bene cosa sarebbe successo e quando hanno annullato le Olimpiadi io mi sono ritrovata – visto che mi ero presa una pausa dagli studi – senza un corso da seguire.

Puoi immaginare la mia disperazione… tutti i professori avevano già chiuso le iscrizioni ai seminari! Poi però, fortuna o caso vuole, mi sono imbattuta nel professore di filologia che mi ha accolto a braccia aperte e, possiamo dirlo, la materia mi ha conquistato».

Come filologa potresti fare un dottorato o insegnare, è qualcosa che ti interessa?

«Non posso fare previsioni a lungo termine, anche perché con una carriera sportiva la vedo dura portare a termine un dottorato. Per quanto riguarda l’insegnamento… magari un domani. Oggi come oggi mi vedrei di più lavorare in una casa editrice».

Immagino che ti piaccia molto leggere…

«Sì, mi piace molto. Mi piace anche scrivere, ma niente di impegnativo, piuttosto un flusso di coscienza».

Com’è la giornata tipo di una studentessa universitaria che ha anche una professione sportiva?

«Diciamo che non sono giornate leggere (ridiamo). Prendiamo il lunedì: dopo colazione vado ad allenarmi, naturalmente sono flessibile e dipende anche dai corsi che ho. Sul mezzogiorno mangio e studio poi riprendo con la palestra fino alle sei di sera. A questo punto, come puoi immaginare, sono cotta, ma mi tocca ancora cucinare e studiare perché devo recuperare quello che gli altri hanno fatto durante la loro giornata… e non dormire non funziona, l’ho imparato a mie spese durante il primo anno (tono simpatico)».

Come sei arrivata all’atletica leggera, è un dono? Ti piaceva già da bambina?

«Io sono cresciuta a Bignasco e in Val Maggia non c’era molto altro da fare se non l’hockey su ghiaccio e il pattinaggio artistico. Così, come la maggior parte dei bambini, ho iniziato a pattinare e per tutte le elementari ho fatto pattinaggio artistico. Allo stesso tempo, essendo sempre all’aria aperta con gli altri bambini del paese, correvo nei campi e questo indubbiamente mi ha aiutata. Quando la mia famiglia si è trasferita ad Ascona, anche perché mio fratello giocava ad hockey nell’Ambri e le trasferte da Bignasco erano troppo lunghe, mi sono ritrovata in una nuova realtà e non facevo nessuno sport. Poi, come spesso succede nella vita, ho fatto una UBS Kids cup in seconda media e ho ottenuto degli ottimi risultati. A quel punto mia mamma mi ha proposto di provare l’atletica… è stato un colpo di fortuna».

Immagino tu sia soddisfatta della tua carriera sportiva

«Si, si assolutamente, sono veramente fortunata anche perché non ci sono solo due o tre persone che corrono e alcune avversarie sono fortissime».

Non posso non farti parlare un po’ di queste Olimpiadi, anche perché i tuoi risultati sono stati impressionanti…

«È stata l’esperienza più bella e più intensa della mia vita sportiva, anche se sono state le mie seconde Olimpiadi. È stato tutto speciale: era il Giappone, le abbiamo sognate per cinque anni e dunque anche l’attesa è stata molto intensa. Devo dire che io stessa sono rimasta sorpresa dai miei risultati, soprattutto a livello individuale. Il fatto di entrare in finale era già un’impresa gigantesca, ma poi il riuscire ad essere quinta (un sorriso illuminante), di aver corso 10”91 nelle batterie… è qualcosa che faccio ancora fatica a realizzare mesi dopo e questo mi rende felicissima e orgogliosa. Il quarto posto nella staffetta mi ha fatto un po’ male, sapevo che potevamo fare una medaglia e io ci credevo tantissimo, ma ormai lo sport è così… non tutto va come ci si aspetta. In ogni caso dobbiamo essere fieri che la Svizzera possa battersi con altre grandi nazioni, stiamo parlando degli Stati Uniti, della Giamaica e dell’Inghilterra, insomma siamo messi bene (ride felice)».

Hai detto che eri sorpresa di te stessa. Quel giorno, quando hai corso a livello individuale, cosa è successo? Tutto era perfetto?

«Quei due giorni dei 100 metri c’era veramente tutto, mi sentivo al top del top da una settimana e mezza, gli allenamenti andavano bene, avevo ritrovato la fiducia dell’inverno, quando ho vinto il mio titolo europeo sui 60 metri. Quindi a livello mentale ero molto concentrata e felice, a livello fisico non ero mai stata stata così pronta e quindi c’erano tutte le prerogative per fare l’exploit».

Come gestisci le critiche mediatiche?

«Quest’anno ho provato di tutto. Sono stata campionessa europea indoor in marzo e quindi tutti i media mi hanno dato visibilità, poi ho preso il covid e ad aprile, sono sincera, ho fatto molto fatica a rientrare. Subito i giornali mi hanno criticata, hanno iniziato a dire che non ero più in forma come prima, altri hanno detto che non mi ero allenata… invece facevo semplicemente fatica a recuperare. Ci sono sempre questi due lati della medaglia, ma io sono cosciente del fatto che bisogna riporre gli affetti nelle persone care, nella famiglia, negli amici. Se loro mi sostengono e mi stanno vicina tutto il resto passa in secondo piano. Ci sarà sempre qualcuno che vorrà criticarmi, un discorso che vale per tutti noi, e questo non solo nello sport».

L’Ajla di oggi è molto diversa da quella che correva nei campi in Val Maggia?

«Per me non è mai stata un’opzione cambiare, anche perché vengo da un paese con poco più di 300 abitanti e se mi capita di vedere qualcuno che mi conosceva da giovane voglio dare l’impressione di essere sempre la stessa persona. È chiaro che come donna sono evoluta, posso essere più sicura di me, però a livello caratteriale non mi vedo cambiata».

Indipendenza della donna. Cinquant’anni fa le donne ottenevano il diritto di voto. Tu sei una generazione fresca, magari per voi è la normalità votare, ma come vedi la donna oggi, vorresti che qualcosa cambiasse?

«Nel mio entourage le donne sanno quello che vogliono e non hanno bisogno di qualcun altro per farlo. È vero che sono in un ambiente di sportivi e questa è una caratteristica indispensabile per far carriera, ma lo vedo anche con le mie amiche, loro sono partite per la loro strada e niente e nessuno può fermarle. Siamo sicuramente una generazione con tanta energia, una generazione che vuol poter dire la sua. Personalmente, se ci sono discorsi un po’ sessisti, intervengo e lo faccio notare (sorride), anche perché è una questione di sensibilità».

Com’è la situazione a livello sportivo?

«Tra di noi ne parliamo spesso. Nell’atletica, soprattutto in Svizzera dove è l’atletica femminile a portare grandi risultati, questa discriminazione non esiste. Dall’altra parte è inevitabile che un uomo corra più veloce di una donna… dovremmo usare questo approccio sportivo anche nella vita di tutti i giorni, bisogna sapersi adattare alle capacità individuali, valorizzando le persone per quello che sono e possono dare, indipendentemente dal genere».

Per quanto riguarda i compensi, ci sono disparità salariali importanti?

«È difficile dirtelo perché non ho mai visto il contratto di un atleta uomo al mio stesso livello. Però posso immaginarmi che queste cose si stiano leggermente laminando, lo spero. Le disparità sono probabilmente più presenti in tutto quello che ruota attorno allo sport, ad esempio i contratti pubblicitar»i.

Ma c’è la volontà, penso a te ora come atleta, di migliorare le condizioni delle donne sportive? La vostra generazione ha voglia di farsi sentire?

«Sì, assolutamente. C’è tanta voglia di farsi sentire, anche sulle tematiche ecologiche. Sappiamo che deve esserci un cambiamento e questo cambiamento deve venire da noi perché noi siamo il futuro della società».

E per quanto riguarda la carriera sportiva di una donna? La gravidanza è ancora vista come un ostacolo?

«Prima quando superavi i trent’anni tutti ti davano per finita, soprattutto se decidevi di diventare mamma. Ora però le cose stanno cambiando, ci sono atlete che hanno avuto figli e sono rientrate più forti di prima, hanno vinto medaglie e dimostrato che si può fare e per noi sono una grandissima ispirazione».

Stiamo facendo abbastanza per i talenti sportivi ticinesi?

«Penso che si possa fare molto di più, spesso però non ci le strutture adeguate, ma fondamentalmente mancano due cose: gli allenatori professionisti, non parlo di hockey o calcio, e la volontà di riconoscere la professione di sportivo. Dobbiamo smetterla di dire che lo sport non è un lavoro! Quante volte mi sono sentita domandare: “Cosa fai à coté?” e io ho risposto che l’atletica, correre, era il mio lavoro. Dobbiamo riuscire a togliere questo pregiudizio, sostenere i giovani sportivi che devono poter provare a diventare dei professionisti senza sacrificare parte degli studi e il loro futuro».

Sei molto legata al Ticino. Tornerai?

«Quando sono partita per Losanna non avevo il desiderio di rientrare in Ticino, ma ora sì, sono sempre felice di essere a casa, soprattutto perché la mia vita mi ha già portato in così tanti posti… ma sinceramente non so dove sarò tra cinque anni. Posso però dire che se non vedo le mie montagne per un po’ mi mancano tantissimo (commossa)».

Per terminare cosa dici alle giovanissime

«Createvi i vostri spazi. Nella mia carriera mi sono trovata a confrontarmi con altre atlete, ma alla fine è importante sapere che ognuno ha la propria strada e paragonarsi ad altri non serve a nulla. Abbiate fiducia nel vostro percorso, cercando di controllare ciò che è controllabile. Tutto quello che non possiamo controllare è meglio lasciarlo andare, ci ruba unicamente energia».

Ho scelto il titolo “Più forte di prima” mentre trascrivevo l’intervista. Una donna sportiva che dopo una gravidanza rientra in pista e vince, dimostrando che fisico e mentale hanno un potenziale incredibile, spesso sottovalutato. Questo vale per tutti noi, ci sono momenti in cui siamo obbligati a fermarci, ma questo non significa che non possiamo ripartire e soprattutto nulla ci impedisce di diventare più forti di prima.