Un secolo fa i palcoscenici della “danza libera” del vecchio continente e oltreoceano erano animati dai gesti vitali di danzatrici e coreografe che avrebbero rivoluzionato nel tempo non solo il corso della danza ma di tutti i campi dell’arte e della cultura. Erano le antesignane di una nuova visione del mondo e del corpo femminile, le pioniere coraggiose di una nuova concezione del movimento fatta manifesto di un’epoca intera. E se è vero che la storia si ripete come un processo a spirale non è forse un caso, che a distanza di un secolo, la scena della danza, e specialmente quella svizzera, sia animata da artiste e coreografe, che in forma solistica o di gruppo, sono anche tra le protagoniste indiscusse di questa nuova e vibrante stagione teatrale del LAC.
Le ragioni geografiche di questo fermento possono essere rintracciate proprio in quel passato mitico che aveva eletto tra i centri propulsori del rinnovamento della danza anche la Svizzera con il suo Monte Verità. «Il rifugio di tutti coloro che avevano nella mente un nuovo progetto» nella definizione del dadaista Hugo Ball, «una farm della danza», in quella dello studioso Stefan Bollmann, in cui numerosi nomi, da Isadora Duncan a Mary Wigman, da Rudol Von Laban a Émile Jacque-Dalcroze, si diedero appuntamento alla ricerca di un nuovo paradigma di vita improntato su una cultura del corpo e delle sue esperienze, lontano dai tradizionali modelli di ruolo, dalle minacce della guerra, in un più stretto contatto tra uomo e natura.
Le coreografe ospiti della nuova stagione del LAC appaiono oggi come le eredi dirette o indirette di un lungo e ininterrotto discorso sul corpo iniziato proprio in questa terra un secolo prima, in cui il gesto si fa scrittura per raccontare le trasformazioni del contemporaneo e sondare ogni desinenza delle parole “danza” e “femminile”, spinte oltre i confini semantici e ogni pretesa di classificazione.
Nei mesi scorsi abbiamo raggiunto Alexandra Bachzetsis (in scena al LAC domenica 16 gennaio 2021, alle 16:00) e Tabea Martin (T.M.) per conoscere più da vicino il loro pensiero, ciò che le muove nella pratica coreografica e nella vita di ogni giorno come artiste e come donne.
Che cosa significa essere “coreografe donne” nella società di oggi?
A.B.: «Oggi è considerato di moda e queer essere donna, dieci anni fa venivi ancora etichettata come femminista, trent’anni prima era rischioso esprimere i propri pensieri come donna. Il fatto che nel 2021 si parli ancora di “coreografia femminile” come categoria mi lascia profondamente perplessa. Sento che dobbiamo andare oltre l’idea e la nozione di categoria di genere e io come artista e coreografa vorrei essere considerata prima di tutto una coreografa e un’artista e non una donna. Essere donne è complesso e purtroppo ancora non sempre lusinghiero nella società odierna. Esporsi in prima persona e lavorare in scena sul proprio materiale personale solleva molte questioni ma è un viaggio che offre anche riflessioni interessanti, come per esempio quella attorno alla trasformazione del corpo che invecchia, un problema che riguarda tutti gli esseri umani».
T.M.: «Si tratta prima di tutto di un’opportunità per comunicare, problematizzare e criticare valori, abitudini e comportamenti umani attraverso la danza, il movimento e nel mio caso anche la parola. Idealmente lavoriamo per un mondo di diritti uguali per tutti in cui non ci sia più bisogno di etichette per definire se una coreografia è al “maschile” o al femminile”. Cerco di impegnare tutta me stessa in questo processo di trasformazione».
Pensi che nel mondo della danza ci siano più opportunità per artisti uomini?
A.B.: «Nel mondo della danza c’è un 90% in più di donne rispetto agli uomini. È naturale che ogni uomo che ottiene una posizione si trovi quindi in una situazione privilegiata rispetto alla percentuale molto più alta di artiste donne esistenti. Tuttavia penso che dovremmo porre la domanda in modo diverso: che cos’è rilevante oggi, quali pensieri esprimere, quali gesti compiere? Mi piacerebbe credere che le opportunità siano plasmate attorno alle idee e ai contenuti e non per un semplice gioco di equilibri di genere. Fare arte è un atto tanto personale quanto politico: lavorare con i corpi espone infatti i rapporti di potere esistenti nelle nostre società».
T.M.: «Assolutamente sì e questo è un grande sprone per trasformarlo!».
Quale figura ti ha ispirata all’inizio della tua carriera come coreografa?
A.B.: «Ti rispondo con una citazione di colei che più di altre ha influenzato il mio percorso, Yvonne Rainer: “La mia preoccupazione generale è rivelare le persone mentre sono impegnate in vari tipi di attività – da sole, tra loro, con gli oggetti – e pesare la qualità del corpo umano su quella degli oggetti e lontano dalla super-stilizzazione del ballerina” – a proposito di The Mind is a Muscle (1968). Quando ho iniziato a lavorare alla mia pratica coreografica ero interessata a un ampio spettro di espressioni e, per me, il lavoro di Rainer si trova all’estremità opposta di quello che considero puro intrattenimento. In qualità di “collega” coreografa, mi sono relazionata da subito con il suo lavoro ammirandone le giocose scenografie e le proposte coreografiche. Nel mio lavoro cerco poi di analizzare forme estreme di gesto e movimento in generi che seguono codici specifici, come la pole dance, il tecktonik, il clubbing, il vogueing, l’R & B, il tip tap e i linguaggi del movimento quotidiano nelle diverse culture. Uso questi tipi di espressione fisica per quello che sono: mi approprio direttamente di loro – e delle abilità tecniche dei loro performer – e li colloco in un contesto neutro dove appaiono come pratiche affini a modalità espressive consolidate».
T.M.: «All’inizio dei miei studi come danzatrice, la mia prima insegnante di balletto era solita chiamarmi “Trabi”, come le vecchie automobili tedesche della DDR perché avevo un gioco di gambe e piedi molto lento. Da subito mi resi conto che per diventare una danzatrice o una coreografa era necessario lasciare andare la forma e cercare di “trasportare” qualcosa al di là del movimento stesso. Crescendo ho avuto l’occasione di vedere i balletti di Heinz Spoerli e di assistere agli spettacoli di Christoph Marthaler. Quando poi mi sono trasferita ad Amsterdam sono entrata in contatto con l’opera di autori e compagnie come Societas Raffaello Sanzio, Forced Entertainment, Needcompany, Anne Teresa de Keersmaeker, Xavier le Roy, Wim Vandekeybus, Goat Island, Sasha Waltz e anche tutto il teatro e la danza olandese. Ma in quegli anni e ancora oggi la principale fonte d’ispirazione è sempre stata la letteratura assieme ai pensieri delle persone e ai loro conflitti che mi circondano ogni giorno».
Come affronti le tematiche di genere all’interno dei tuoi lavori?
A.B.: «Non credo in una distinzione rigida tra maschile e femminile. In tutta la mia opera coreografica lavoro con le convenzioni e le percezioni di questi termini e li alieno rispetto alla loro connotazione originaria attraverso precisi gesti di scambio e sostituzione dell’idea di corpo maschile e femminile. In Chasing a Ghost, ad esempio, mi concentro sulla struttura e sul tema del doppio e del duetto tra tutte le costellazioni di genere. La possibilità di scambiare i gesti attraverso la ripetizione e l’estrema permeabilità dei corpi mi permette di formulare uno studio fisico del comportamento fuori dall’ordinario. Il corpo, considerato nella sua piena fisicità, è la mia materia tanto quanto la memoria del corpo e delle sue rappresentazioni di culture e storie. È un luogo vibrante di trasformazione e sperimentazione con i suoi molteplici passaggi attraverso ruoli di genere e differenze di età, in cui si manifesta la natura liquida dell’identità».
T.M.: «Nel 2016 ho realizzato il mio primo lavoro sulle questioni di genere per un pubblico sia giovane che adulto chiamato “Pink for girls and blue for boys”. Volevo mettere a confronto il giovane pubblico con l’argomento per renderlo consapevole e creare un terreno comune di discussione. Quello del genere è un soggetto presente anche in altri miei lavori ma in maniera più sottile, un “rumore di fondo” che attraversa tutta la mia opera senza essere al centro del dibattito ogni volta.
Gli appuntamenti della danza al LAC
Chasing a Ghost
Alexandra Bachzetsis
Domenica 16 gennaio 2021, ore 16:00
Nothing Left
STEPS: Compagnia Tabea Martin
Sabato 02 aprile- ore 20:30
Tutti gli appuntamenti di danza al LAC sono disponibili qui.