Nel suo saggio On liberty, il grande pensatore liberale inglese, pioniere anche della lotta per la parità dei sessi e la parità dei diritti politici, denunciava – riprendendo e discutendo in modo fecondo le tesi già contenute nella Democratie en Amérique di Alexis de Tocqueville del 1835-41 – i pericoli di deriva della “dittatura della maggioranza” e della “dittatura dell’opinione”.  In modo assai profetico, Stuart Mill rilevava che in un mondo in cui «la gente legge le stesse cose, vede le stesse cose, va negli stessi posti, spera e teme le stesse cose e ha le medesime libertà e diritti… dove l’opinione pubblica esercita una crescente influenza sullo Stato e sparisce progressivamente dalle menti degli uomini politici l’idea stessa di opporsi alla volontà pubblica (la volontà delle masse) il non conformismo degli individui perde qualsiasi sostegno sociale. Scompare cioè qualsiasi consistente potere sociale che sia interessato ad assumersi la protezione di opinioni diverse da quelle del grande pubblico». La conclusione allarmante che egli tirava era la seguente: «Se si aspetta a resistere fino a quando la vita non sarà quasi completamente ridotta ad un solo tipo uniforme, ogni deviazione da esso finirà coll’essere considerata empia, immorale, persino mostruosa e contro natura».  Per Stuart Mill il principio fondamentale della libertà di pensiero viene vanificato se non viene garantita attivamente la libertà di opinione, “di parola e di scrittura” e anche di associazione, la quale permette a chi la pensa diversamente di riunirsi e di manifestare democraticamente. E anche se le diverse opinioni – indipendentemente dal fatto che siano maggioritarie o minoritarie – non vengono confrontate e discusse. Come si vede, siamo al cuore di problemi che attanagliano in modo stringente le nostre società contemporanee, contrassegnate da un uso spregiudicato dei meccanismi di manipolazione dell’informazione da parte di campi avversi, le cosiddette fake news, nonché da quello che con un’espressione troppo edulcorata oggi viene definito il “politicamente corretto”. Tutto questo in svariati ambiti: le cause e le conseguenze del riscaldamento climatico, le affermazioni e previsioni rosee o catastrofiche dell’economia, la sovrappopolazione e la discussione sui diritti del nascituro, per fare solo alcuni esempi.  Per Stuard Mill, come già per Tocqueville, il nome corretto del “politicamente corretto” – quando sfocia nell’intolleranza – è “dittatura dell’opinione”. «Io nego il diritto del popolo ad esercitare questa coercizione – sottolinea in modo energico – sia da solo, sia mediante il proprio Governo. Governo che è altrettanto dannoso o forse più dannoso quando lo si esercita seguendo l’opinione pubblica che contro di essa. Se tutti gli uomini meno uno avessero la stessa opinione – conclude –  non avrebbero più diritto di far tacere quell’unico individuo di quanto non ne avrebbe lui di far tacere, avendone il potere, l’umanità».   Fermo restando che «la società è giustificata a proteggersi intervenendo sulla libertà d’azione di chiunque reca danno altrui… non si può tuttavia costringere qualcuno a fare o a non fare qualcosa perché si ritiene che sia meglio per lui o perché, nell’opinione altrui o della maggioranza è opportuno o perfino giusto. Questi sono buoni motivi per discutere, protestare, ma non per punirlo in nessun modo qualora si comportasse diversamente. Perché la costrizione o la punizione siano giustificate, l’azione da cui si desidera distoglierlo deve essere intesa a causar danno a qualcun altro».

Il pensatore liberale cita due figure che hanno segnato profondamente la civiltà occidentale, come portatori di valori fondamentali per l’individuo/la persona umana eppure sono stati condannati: Socrate e Gesù Cristo.  Per cosa sono stati messi a morte? Per dei delitti di opinione. Socrate, che ha introdotto il pensiero interrogativo sull’uomo e le cose e ispirato Platone e Aristotele ed è quindi un caposaldo della filosofia occidentale, «fu messo a morte dai suoi concittadini per empietà e immoralità. Empietà, perché negava gli dei riconosciuti dallo Stato; immoralità perché – affermò l’accusa – traviava i giovani». «Gesù Cristo fu mandato ignominiosamente a morte perché accusato di aver bestemmiato».

Il metodo con cui è opportuno affrontare la diversità delle opinioni è quello del confronto dialettico e della discussione razionale e non l’imposizione e la censura. Il pensiero moderno deve molto alla dialettica socratica illustrata nei Dialoghi di Platone ma addirittura anche alle discussioni scolastiche medievali che permettevano all’allievo – dovendo argomentare e rendere ragione -, di capire le idee proprie e quelle dell’altro. «È nell’interesse della società farlo. Un’opinione va difesa dagli attacchi pubblici della maggioranza non perché è vera, ma perché è importante per la società il fatto stesso che essa esista». Per quale motivo? «Molto spesso le idee contrastanti non sono una vera e l’altra falsa, ma contengono entrambe una parte di verità e l’opinione dissidente è necessaria per integrare la tesi più generalmente accettata con ciò che le manca». E che permette il vero progresso. La discussione razionale e circostanziata è sempre necessaria, anche perché «l’opinione che si cerca di sopprimere d’autorità può forse essere vera. Naturalmente, coloro che desiderano sopprimerla ne negheranno la verità: ma non sono infallibili. Ogni soppressione della discussione è una presunzione di infallibilità» ammonisce Stuart Mill .

Il suo monito è prezioso – a fortiori in un mondo come quello odierno contrassegnato da una grande complessità a tutti i livelli –  poiché la presunzione di infallibilità fa a pugni anche con la ricerca scientifica, che quando è rigorosa è sempre umile e refrattaria ad assegnare una patente di verità indiscussa in forza di una maggioranza di pareri espressi in un dato momento e in un dato contesto.  Purtroppo, nel secolo della negazione delle Verità assolute in filosofia e in teologia (ma magari nel solco acritico di uno sbrigativo scientismo ideologico) c’è chi approfitta strumentalmente di risultati scientifici anche parziali per zittire ogni dissidenza.  

Qualcuno osserverà che rispetto al passato di cui scrivono Tocqueville e Stuart Mill, la dittatura odierna della maggioranza e dell’opinione non produce effetti tanto devastanti: nell’epoca dei diritti dell’uomo non si condanna a morte qualcuno per dei delitti di opinione come ai tempi di Socrate, dell’imperatore Marco Aurelio o dell’Inquisizione. Sarei prudente nel giudicare con troppa enfasi positiva un’epoca in cui il potere del controllo sociale grazie alle tecnologie digitali è smisurato e invasivo come mai nella storia e – attraverso i social media – la gogna planetaria, l’odio razziale e sociale e la pressione delle masse su politica e giustizia è senza precedenti. Ricordiamoci poi non solo della barbarie della Shoa, ma ancora cinquant’anni fa, nell’Est europeo comunista, nei Gulag e nelle cliniche psichiatriche sovietiche i dissidenti e i cristiani venivano considerati dei pazzi cui occorreva fare il lavaggio del cervello. Esattamente come oggi, nello Xinjang, la Cina considera dei pazzi da guarire – dopo aver separato i figli dalle madri e dai padri e averli rinchiusi in campi di rieducazione – il milione di Uiguri di fede musulmana che popolano quella regione. Resto convinto che il saggio di Stuart Mill sulla libertà sia di stretta attualità e meriti di essere meditato. Soprattutto in un’epoca come la nostra, in cui i valori universali che hanno tenuto assieme l’unità della persona e dell’individuo (non per decreto, ma per formazione umanistica, filosofica o evangelica) e che ne costituivano la forza di resistenza ideale e reale contro le dittature sono andati indebolendosi considerevolmente. Non in Cina; in Europa.