Solo l’incoscienza allegra provocata dalla frenesia del bengodi nei decenni postbellici del secolo scorso ha potuto illudere l’Occidente che eravamo ormai giunti al compimento (felice) della storia.  Il risveglio è stato brutale: l’11 settembre 2001 e l’esplosione di un nuovo terrorismo efferato – che non ci dà tregua a vent’anni di distanza – e ora la pandemia planetaria, impongono di guardare nuovamente in faccia la ruvida realtà e di essere all’altezza della responsabilità che le (fallibili) strutture socio-economiche e la condizione umana (fragile e mortale) comportano. Ciononostante – malgrado la fine delle illusioni – l’onda lunga del volontarismo prometeico che ha contraddistinto la seconda metà del XX secolo sembra ostinatamente decisa a promuovere ad ogni costo l’idea di una società a rischio zero. Per la prima volta nella storia, di fronte a una pandemia, la grande maggioranza degli Stati sembra infatti essersi data come missione quella di salvare tutti dalla morte, costi quel che costi, compresa la paralisi di ogni attività sociale e creativa condivisa.

È una buona notizia? Non ne sono convinto per due ragioni. La prima perché il rischio della morte non può – volenti o nolenti – essere cancellato e per questo motivo, pur applicando responsabilmente il principio di precauzione e migliorando il sistema sanitario e le condizioni di vita degli individui, occorre conviverci senza nevrosi.  La seconda perché temo che il “costi quel che costi” rischi di spingere irrazionalmente verso soluzioni indifferenziate e liberticide che possono produrre effetti perversi duraturi su un numero di persone infinitamente più importante delle pochissime colpite in modo grave da un’epidemia come il Covid.

Accreditando inoltre l’idea che l’ordine sanitario (e non la felicità, la libertà, la compagnia e il calore umano, la cultura, i riti familiari e comunitari, un lavoro appagante…) sia il criterio primo e centrale di una società umanamente realizzata dalla nascita al tempo ultimo. A chi volesse replicare che la lotta per combattere una nuova pandemia è come una guerra e che dopo ogni guerra i pieni poteri vengono revocati, risponderei che lo spauracchio dell’incognita di una prossima epidemia giustificherebbe, credo, – agli occhi di una popolazione che vuole sicurezza e in forza di una necessaria prevenzione  – il mantenimento anche in “tempo di pace” dello strapotere dell’ordine sanitario e di un controllo sanitario sistematico degli individui (tecnologicamente garantito).

A parer mio occorre chiedersi se sia razionale la decisione di paralizzare l’attività umana – al di là di una comprensibile prima reazione di panico di fronte a un virus sconosciuto e alla necessità di evitare il collasso delle strutture sanitarie – penalizzando intere fasce della popolazione non a rischio (e stiamo parlando di più del 95% della popolazione). La risposta del filosofo francese sessantottenne André Comte-Sponville è lapidaria: «Ciò che mi inquieta non è la mia salute. A parte il fatto che la morte ci accompagna sempre, se anche dovessi contrarre questo virus so che, contrariamente a mali come un tumore o l’Alzheimer, ho chances molto elevate di cavarmela. Mi spiace profondamente constatare che sono i giovani a pagare il tributo più alto, sotto forma di disoccupazione, di indebitamento…

Sacrificare i giovani per gli anziani è aberrante. Tradizionalmente, gli adulti si sacrificavano per i propri figli e nipoti. Stiamo facendo il contrario ed è inaccettabile». Il suo appello è chiaro: «Smettiamo di sognare l’onnipotenza e una condizione di vita costantemente perfetta. La finitudine, la malattia e gli ostacoli fanno parte della condizione umana. Fintanto che non avremo accettato che la morte ci accompagna, saremo nel panico ad ogni epidemia».  Qualcuno esorta pressantemente a privilegiare comunque su tutto la salute piuttosto che servire l’economia, lasciando intendere che quest’ultima svolga un’attività negativa rispetto al bene comune, perché sarebbe dedita al profitto. Ma con quali risorse è stato e sarà possibile finanziare la ricerca medica e la tecnologia sanitaria avanzatissima di cui disponiamo, se non con quelle dell’economia? Senza l’economia come si fa a creare, testare e mettere sul mercato rapidamente i vaccini necessari per sconfiggere l’epidemia? La pandemia mostra la fragilità delle nostre società ossessionate dal rischio zero e dalla paura della morte, il cui fantasma – già prima della pandemia – era sistematicamente obliterato dalla scena pubblica e da ogni discorso per non ferire la labile psiche di noi pronipoti di Zeno Cosini, protagonista del romanzo di Italo Svevo.

Pur nella complessità del problema e nella difficoltà di trovare risposte risolutive in questo momento, mi chiedo se il pericolo più insidioso da cui guardarci oggi non sia tanto la pandemia del Covid ma un altro. Allorché un nemico viene presentato come pericolosissimo – e cosí stanno facendo da mesi buona parte degli apparati politico-sanitari che dettano legge –  ad una società civile indebolita o in conflitto perpetuo e ad individui sempre più isolati, i cittadini finiscono per abbracciare la servitù volontaria (come già denunciava Etienne de La Boétie) rinunciando anche a diritti fondamentali, segnatamente alla libertà, in forza della promessa di sicurezza. Uno degli effetti collaterali di questa crisi riguarda la coartazione della sfera della libertà personale e comunitaria e la negazione di valori fondamentali della civiltà su cui poggiano le nostre democrazie, già minacciate dall’apparire sempre più totalizzante di una società della sorveglianza. L’intolleranza verso chi non condivide l’opinione dominante è evidente e già si va manifestando in censure nel campo della libertà di parola e di associazione e addirittura nella messa all’indice di scritti non “politicamente corretti”.

Nella lotta al Covid, la città tedesca di Essen ha esortato recentemente i propri cittadini alla delazione: tramite formulario (cui allegare anche foto e video) la popolazione è invitata a segnalare all’autorità chi contravviene al distanziamento nei bar o ristoranti o all’obbligo di portare la mascherina… Per l’ordine sanitario anche la delazione è uno strumento lecito. Ma per l’ordine morale? A meno che, in una società del rischio zero e della sorveglianza, l’ordine sanitario non diventi il fine ultimo. Che giustifica tutti i mezzi. Non me lo auguro.