Al grande pubblico sfugge l’importanza storica e politica di quello che viene definito genocidio armeno. Perché lo si considera come un massacro perpetrato contro un piccolo popolo in un perimetro geografico molto ridotto e perché è accaduto nel contesto cronologicamente lontano del primo conflitto mondiale. Ma a guardar bene non può sfuggire il fatto che il nuovo millennio è iniziato sotto il segno dell’onda lunga dei genocidi del Novecento, il primo dei quali fu quello contro gli Armeni. Gli attentati terroristici di Al Qaeda contro le torri gemelle del 2001, quelli perpetrati in Europa e la guerra dello Stato islamico in Medioriente portano infatti un marchio anticristiano e antisemita. L’ombra dei genocidi del Novecento si abbatte sul Ventunesimo secolo.
La collera del presidente turco Recep Tayyip Ergdogan contro Emmanuel Macron quando due anni fa il Presidente francese decise di istituire una giornata commemorativa del genocidio armeno e quella – nelle scorse settimane – contro il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden per una ragione simile, non sono solo scatti d’ira per il fatto che si denunciano e si rimettono in discussione i miti della nazione turca e l’operato dei suoi padri fondatori cent’anni fa. La realtà è che il genocidio armeno fu parte integrante e fondamentale di un più ampio progetto di purificazione etnico-religiosa che ha avuto sì un suo apice cent’anni fa ma che sta vivendo in questi decenni una recrudescenza. La collera di Erdogan sulla questione del genocidio armeno fa il paio con l’appello recente rivolto al mondo islamico dall’autocrate turco ad unirsi contro “Israele, uno Stato terrorista e iniquo che attacca i musulmani”, appello che porta acqua al mulino di chi intende cancellare la presenza ebraica dal Vicino Oriente. Mentre lo Stato islamico vuole eliminare brutalmente la presenza dei cristiani dal Medioriente, Erdogan è deciso a diventare – applicando una politica ambigua e oscillante fatta di alleanze a geometria variabile – il sultano di un nuovo Impero Ottomano. Quale futuro c’è per i cristiani e per gli ebrei in un Medioriente messo a ferro e fuoco dal terrorismo islamico e da una recrudescenza bellica acuta? La domanda non è retorica ma pertinente. Da decenni Israele è minacciato nella sua stessa esistenza e proprio in queste settimane il conflitto in Palestina sta vivendo una nuova escalation militare. Da decenni milioni di cristiani del Medioriente (culla non solo dell’ebraismo ma del cristianesimo apostolico e dei primi concili) sono costretti alla fuga dalla loro terra secolare poiché la coesistenza fra popoli delle tre religioni monoteiste protrattasi per secoli malgrado periodi di crisi più o meno profonda appare oggi sempre più compromessa.
Gli studi storici che hanno approfondito la questione armena gettano una luce utile per capire quanto sta accadendo oggi sotto i nostri occhi alle porte dell’Europa: in Siria, in Libano, in Palestina, in Turchia… Sul fatto che il massacro di un milione e mezzo di armeni sia stato un genocidio pianificato dal Governo nazionalista dei Giovani Turchi fece chiarezza già nel 1918 il dettagliato Diario dell’ambasciatore americano a Costantinopoli Henry Morgenthau. “I Giovani Turchi ammiravano i conquistatori musulmani che avevano fatto cadere l’Impero bizantino nel XV secolo – annota Morgenthau -. Ma pensavano che quei grandi guerrieri avessero fatto un errore fatale perché, avendo la possibilità di annientare le popolazioni cristiane, non lo avevano fatto. Un terribile errore cui ora si poteva porre rimedio. Avrebbero quindi sterminato tutti i cristiani e mescolato il sangue delle donne armene con quello dei guerrieri e della popolazione turca, ciò che avrebbe avuto un effetto eugenetico”. Giova rilevare che già Morgenthau documenta come le persecuzioni sistematiche e le deportazioni non abbiano colpito soltanto gli Armeni bensì anche “i Greci del Ponto e di Smirne (cristiani, come gli Armeni)”. E come la Germania del Kaiser Guglielmo II abbia dato carta bianca e i suoi utili consigli ai Giovani Turchi per l’organizzazione dello sterminio. Gli studi recenti dello storico turco Taner Akcam – condannato nel 1976 a dieci anni di carcere dal Governo turco per vilipendio dello Stato e fuggito negli USA – confermano in modo inoppugnabile ciò che Morgenthau aveva documentato nel suo diario: ovvero che si trattò di un genocidio pianificato. Taner Akcam chiude i conti con il negazionismo turco dimostrando in via definitiva l’autenticità dei telegrammi del leader dei Giovani turchi Talat Pasha che ordinavano la cancellazione del popolo armeno. Ma il genocidio degli Armeni non è un massacro singolo bensí l’apice di un disegno più ampio e organizzato sull’arco di decenni. Lo dimostra un ponderoso saggio scritto dagli storici israeliani Benny Morris e Dror Ze’Evi, entrambi professori all’Università Ben Gurion del Negev che ha un titolo emblematico “Il genocidio dei trent’anni. La soppressione delle minoranze cristiane in Turchia”. Passando al vaglio sistematicamente documenti storici e diplomatici dal 1894 al 1924, i due ricercatori israeliani svelano la faccia nascosta di un disegno che doveva portare alla creazione di un nuovo stato nazionale turco etnicamente omogeneo e religiosamente islamico. I massacri perpetrati sotto governi diversi (dal sultanato di Abdülhamid II, ai Giovani Turchi fino all’ascesa al potere di Atatürk) sull’arco di più decenni erano collegati fra loro da un identico obiettivo: quello di eliminare la componente cristiana della popolazione presente da secoli nell’ex impero di Costantinopoli e di Trebisonda nonché in Armenia. Oltre due milioni di persone – fra Armeni, Greci, Siriaci e Aramaici- furono vittime di questo disegno di purificazione etnica, affermano i due storici, un disegno mai sopito se si pensa ai pogrom contro i greci di Istanbul nel 1956.
Come si vede, il genocidio degli Armeni non fu un massacro isolato perpetrato in un lontano passato – massacro ormai privo di ripercussioni sul nostro presente -. Riconoscerlo e denunciarlo come genocidio, come hanno fatto il nuovo Presidente degli Stati Uniti e negli anni scorsi numerosi Paesi europei (in Svizzera il riconoscimento c’è stato a livello parlamentare ma non governativo), ha una portata geopolitica rilevante per la comunità internazionale, che può contribuire a fare da argine al ritorno di nuovi imperi e di nuove barbarie in questo inizio di millennio. Una recrudescenza fatta di attentati terroristici in Europa, conflitti e guerre cruente nel vicino Oriente ma anche di persecuzioni sistematiche su base etnica e religiosa in Africa e Asia (dal Pakistan e l’India al Myanmar, allo Xinjang cinese).