Dopo il crollo dell’Unione sovietica – confrontato con la necessità di definire nuovi equilibri geopolitici che dessero una nuova stabilità all’Europa e al mondo – il 30 aprile 1998 il Senato americano decise a larghissima maggioranza (con un sostegno “bipartisan”) non solo il mantenimento della NATO in Europa, bensí la sua espansione. Includendo in un’Alleanza militare atlantica rivolta non più contro l’URSS ma contro la Russia tre Paesi ex nemici, che fino al 1991 avevano fatto parte dell’Alleanza militare del Patto di Varsavia: cioè la Polonia, la Repubblica ceca e l’Ungheria.
A distanza di più di vent’anni – mentre l’Europa è teatro di una guerra barbara scatenata dall’aggressione militare russa contro l’antica sorella slava Ucraina, guerra dalle conseguenze devastanti per il mondo intero – è utile valutare e fare un bilancio degli argomenti a sostegno di quella storica decisione e della strategia su cui poggiava. Va notato anzitutto – come rilevano le fonti dell’epoca – che il Senato americano volle sottolineare l’importanza di quella decisione adottando una procedura particolarmente solenne: quella usata per l’approvazione dei trattati internazionali. I senatori si alzarono a turno dal loro scranno per esprimere il proprio voto. Prima del voto, il Presidente Bill Clinton invitò i senatori a sostenere un passo che definì «una pietra miliare sulla via di un’Europa indivisa, democratica e pacifica» (sic), che avrebbe permesso di evitare che «americani fossero nuovamente chiamati sui campi di battaglia europei». «Il messaggio di questo voto è chiaro – disse Clinton -. Il sostegno americano alla NATO è risoluto; la nostra leadership per la sicurezza sulle due rive dell’Atlantico è forte e rappresenta l’impegno bipartisan per un ruolo attivo degli Stati Uniti nel mondo».
Estremamente significativo appare – letto con gli occhi di oggi – l’intervento dell’allora Senatore del Delaware Joseph Biden Jr, che aveva giocato un ruolo chiave nel processo di ratificazione. Il 30 aprile 1998, l’attuale presidente degli Stati Uniti affermò in modo lapidario quanto segue: «La NATO ha garantito all’Occidente mezzo secolo di sicurezza. Questo nuovo passo rappresenta l’inizio di altri 50 anni di pace» (sic). La drammatica situazione odierna basta a commentare la miopìa di quella granitica convinzione. Miopia che fu denunciata immediatamente da George Frost Kennan, il diplomatico statunitense che era stato l’architetto dell’efficace “strategia del contenimento” degli USA verso l’URSS nel secondo dopoguerra, strategia che puntava a rafforzare le istituzioni e la politica dei paesi occidentali (non tanto o soltanto militari) con lo scopo di renderli inattaccabili dalla sfida sovietica favorendo così il collasso del regime sovietico («L’elemento principale della politica nei confronti dell’Unione Sovietica deve essere un lungo, paziente ma fermo e vigile contenimento delle sue tendenze espansioniste… la pressione sovietica contro le istituzioni libere del mondo occidentale è qualcosa che può essere contenuto dall’abile e vigile applicazione di contromisure che rispondano alle manovre politiche dei sovietici»). Kennan ebbe parole durissime contro il voto del Senato americano del 1998. «Penso che sia l’inizio di una nuova guerra fredda – disse l’ex diplomatico, ex consigliere alla sicurezza USA e artefice del Piano Marshall in Europa -. Ritengo che la Russia reagirà gradualmente ma negativamente e ciò influenzerà profondamente la sua politica. Sono convinto che il Senato americano abbia commesso un tragico errore. Non c’era nessuna ragione per compiere questo passo: nessuno stava minacciando nessuno. Questa espansione della NATO farà girare nella tomba i padri fondatori di questo Paese!» – disse colui che, presente al momento della creazione dell’Alleanza atlantica, aveva definito le linee guida della politica americana durante la Guerra fredda per quarant’anni -. «Ciò che mi colpisce è la superficialità e la mancanza di informazione con cui il Senato ha condotto questo dibattito. Possibile che i politici non capiscano? Ciò che ci contrapponeva durante la Guerra fredda era il regime comunista sovietico.
Adesso, invece, stiamo girando le spalle ad un popolo e ai coraggiosi democratici russi che hanno compiuto una rivoluzione senza spargimento di sangue per abbattere quello stesso regime sovietico». L’ex diplomatico e ambasciatore a Mosca fu sferzante: «Ciò dimostra una misera mancanza di conoscenza della storia russa e della storia sovietica. Certo, dopo questa decisione (l’espansione della NATO) ci sarà una brutta reazione da parte della Russia e allora si dirà: vedete come sono i Russi? Ve l’abbiamo sempre detto!». «Ma tutto ciò è semplicemente sbagliato. È prevedibile ciò che gli storici diranno di quanto accaduto negli Anni Novanta. Ovvero che fra il 1989 e il 1992 accadde un evento fondamentale del Ventesimo secolo: il collasso dell’impero sovietico che aveva la capacità di minacciare con le sue mire ideologiche e politiche e i suoi mezzi l’intero mondo libero. Grazie alla risolutezza dell’Occidente e al coraggio di democratici all’interno dell’URSS è stato possibile arrivare alla liberazione delle ex repubbliche sovietiche e ad un accordo sugli armamenti senza precedenti».
E quale è stata la risposta americana a tutto ciò? «È stata l’espansione della NATO (alleanza sorta nella guerra fredda) fino ai confini diretti con la Russia, creando così una nuova esplosiva linea di divisione in Europa». I peggiori timori di Kennan non si sono forse rivelati fondati? Purtroppo, ad imporsi – alla fine della Presidenza di Reagan e durante quella di Bush senior e di Clinton – non fu la strategia di George Kennan bensì quella del consigliere alla sicurezza USA di origine polacca Zbignew Brzezinski, il cui obiettivo era da sempre quello di costringere con ogni mezzo la Russia (storicamente euroasiatica, che aveva dato un contributo essenziale per la vittoria sul nazismo, aveva contribuito a dettare le regole del dopo-Yalta ed era una potenza nucleare) a diventare una mera potenza regionale senza sbocchi geopolitici ed economici verso l’Asia. Dove erano le cancellerie europee? Si sono poste la domanda se la strategia americana fosse nel loro interesse? A dire il vero, il presidente francese Mitterrand espresse contrarietà verso la decisione degli Stati Uniti di allargare la NATO fino alle frontiere russe ed isolare Mosca. Egli attribuiva infatti alla collaborazione costruttiva con la nuova Russia un’importanza strategica per l’Europa. E lo stesso cancelliere Kohl, già all’indomani del crollo di Berlino aveva ignorato le rimostranze statunitensi inaugurando con il Cremlino un’attiva politica di collaborazione nel campo energetico, politica che Schroeder estese poi indiscriminatamente e che Merkel continuò fino al punto di far diventare la Germania ricattabile da Mosca.
In verità, opporsi agli Stati Uniti e alla NATO in decisioni pur riguardanti il territorio europeo era e resta estremamente difficile (il premier italiano Bettino Craxi ne misurò le conseguenze negli Anni Ottanta e lo toccarono con mano coloro che criticarono la strategia unilateralmente antiserba di Washington durante il conflitto dei Balcani). Ma la realtà (brutale) è che – nel contesto mondiale dopo il crollo dell’URSS – l’ingenua scelta di appaltare la politica di difesa del territorio europeo agli Stati Uniti e al braccio armato di una NATO ancora più estesa, abdicando alla costruzione di una difesa comune europea efficace e di una zona europea di sicurezza comune, diventando nel contempo sistemicamente dipendenti dall’energia russa, ha reso l’Europa doppiamente ricattabile: da Mosca e da Washington.
Un vicolo cieco dal quale non sarà facile uscire per l’Europa. E che per il momento preannuncia nel nostro continente una profonda e dolorosissima crisi energetica ed economica (mentre Washington produce e vende armi ed energia a suon di miliardi e Wall Street compra titoli russi al prezzo di carta straccia in attesa di rivenderli a peso d’oro nel dopoguerra). Ma non solo. Carestie e crisi dei Paesi africani dipendenti dalla Russia oggi bloccata dalle sanzioni rischiano di spingere milioni di nuovi profughi alle porte dell’Unione europea. Checché ne dica Joseph Biden Jr. – la cui dimora è dall’altra parte dell’Atlantico e i cui interessi su scala planetaria si giocano soprattutto sul fronte del Pacifico – le cancellerie europee hanno urgente interesse a fare di tutto, in modo concertato, affinché questa guerra su suolo europeo cessi il più rapidamente possibile e la diplomazia ricominci a lavorare da dove trattative e accordi sono stati interrotti brutalmente.