È evidente che si è da tempo superata la soglia di allarme (anche per i mezzi distruttivi e di manipolazione micidiali oggi a disposizione): ad essere in crisi non sono solo le democrazie, ma la società civile stessa che non trova più in valori condivisi il collante della solidarietà.
Eppure abbiamo introdotto il diritto di voto universale e la scuola pubblica per tutti, adottato Costituzioni e leggi inclusive, abbiamo sottoscritto la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e creato l’Organizzazione delle Nazioni Unite e le sue agenzie specializzate nei campi della cultura, il lavoro, l’alimentazione, la sanità, la finanza… istituito Corti internazionali di giustizia e sottoscritto Protocolli per la salvaguardia dell’ambiente… Sembra incredibile che tutto questo attivismo nel campo umanitario ed educativo, della salvaguardia e la promozione del diritto e dei diritti umani non abbia prodotto la crescita civile che ci si aspettava, uno spessore di corresponsabilità in ordine al bene comune che ci si aspettava.
Cosa è successo e che fare? Le cause sono multiple e non semplificabili ma su un punto giova forse fare chiarezza. La politica e le istituzioni democratiche moderne, da sole, manifestamente non bastano: hanno bisogno dei valori forti alla base della civiltà moderna e dimenticati o cancellati se si vuole dare la stura ad un tangibile nuovo ethos condiviso di cui si sente terribilmente la mancanza. Le evidenze morali e il valore aggiunto etico che fanno da collante solidale all’umana convivenza non scaturiscono infatti automaticamente dall’istituzione di uno Stato costituzionale democratico e le sue leggi e neppure da solenni Dichiarazioni d’intenti, fossero anche le più nobili e visionarie. Lo Stato moderno ha bisogno di recuperare le proprie radici valoriali condivise se non vuole derivare verso nuove barbarie che pensavamo di aver sconfitto.
In una conferenza del 2004 dal titolo “I fondamenti morali prepolitici dello stato liberale”, Jürgen Habermas sottolinea una distinzione importante riguardo alla nozione di cittadinanza: il ruolo di “Cittadini della società” e quello di “Cittadini dello Stato”. I primi sono meri “destinatari del diritto”, i secondi “autori del diritto”. «Dai destinatari del diritto ci si aspetta solo che essi, nell’esercizio delle proprie libertà soggettive e i propri diritti non vadano al di là dei limiti della legge. Da cittadini dello Stato, che assumono il ruolo di coautori democratici della legge ci si aspetta invece che abbiano motivazioni e atteggiamenti diversi dalla semplice obbedienza nei confronti di leggi coercitive della libertà. Essi devono esercitare i loro diritti di partecipazione in modo attivo e non solo in vista del legittimo proprio interesse ma anche orientandosi al bene comune. Ciò esige mettere in gioco un investimento motivazionale che non può essere soggetto solo a una coercizione legale. Le virtù politiche risultano essenziali per la consistenza di una democrazia. Lo status di cittadino dello Stato – dice Haberrmas – è collocato, in una certa misura, in una società civile, la quale vive di risorse spontanee che sono prepolitiche».
Senza la condivisione dei valori dentro una società civile che li alimenta lo Stato è un guscio vuoto o il luogo dell’esercizio del potere e della coercizione della libertà. Per Habermas, «i cittadini si appropriano dei principi della costituzione non solo nel contenuto astratto di essi, ma nel significato concreto, a partire dal contesto storico delle loro rispettive storie. Non basta un processo cognitivo perché i contenuti morali dei diritti fondamentali prendano piede nelle convinzioni interiori profonde. Tra i membri di una società politica può esserci una solidarietà solo a patto che i princìpi di giustizia trovino adito nella trama più fitta dell’orientamento culturale dei valori». «Una modernizzazione destabilizzante della società nel suo interno – sottolinea il filosofo tedesco considerando il problematico contesto odierno – potrebbe certamente rendere friabile il vincolo sociale e logorare quella solidarietà su cui lo Stato democratico fa affidamento».
Queste articolate osservazioni sono la risposta di Habermas al quesito posto provocatoriamente già a metà degli Anni Sessanta dal filosofo Ernst-Wolfgang Böckenförde, ossia «se lo Stato liberale secolarizzato non viva di presupposti normativi che esso stesso non è in grado di garantire». Böckenförde denunciava con parole che oggi risultano più che mai profetiche «la trasformazione dei cittadini delle società liberali in monadi isolate che agiscono per il proprio interessi e che si oppongono a vicenda con i loro propri diritti soggettivi, come fossero delle armi…». «Fino a che punto – si chiedeva – i popoli riuniti in uno Stato possono vivere unicamente della garanzia della libertà individuale senza avere un vincolo che li unifichi e che preceda questa libertà?». Quel vincolo che unisce le comunità, per Böckenförde, è prepolitico: è etico, culturale e religioso.
Habermas – da un punto di vista non credente – illustra cosa può significare l’assunto di Böckenförde ad esempio per la questione essenziale dei Diritti dell’Uomo: «Tradurre l’idea di un uomo creato ad immagine e somiglianza di Dio nell’idea di un’uguale dignità di tutti gli uomini, da rispettarsi incondizionatamente, costituisce un esempio di traduzione salvante. Essa impiega e dischiude il contenuto dei concetti biblici ben al di là di una data comunità religiosa, fino al pubblico generale di coloro che hanno altre fedi o non credono».
Di fronte al pericoloso scollamento della società sotto gli occhi di tutti, nell’era post-secolare «è nello stesso interesse dello Stato costituzionale – afferma Habermas – intrattenere rapporti di riguardo con tutte quelle risorse culturali di cui si nutrono la coscienza normativa e la solidarietà dei cittadini». Per le democrazie occidentali, dopo secoli di scontri fra credenti e non credenti, ciò suggerisce l’utilità di riconoscere e valorizzare il bagaglio e le reciproche integrazioni filosofico-culturali, politiche e giuridiche della civiltà greco-giudaico-cristiana (e del diritto romano) a monte dello Stato costituzionale moderno, che rappresentano un suo basilare collante valoriale.