I sistemi sanitari dei Paesi occidentali, ancorché molto efficienti nel gestire situazioni normali, sono strutturalmente in grado di fare fronte a emergenze come quella determinata dalla pandemia?
«È difficile affrontare un nemico di cui conosci così poco. All’inizio dell’anno abbiamo avuto le prime informazioni dalla Cina, poi quando il nuovo coronavirus è arrivato in Lombardia, ci siamo resi conto che ci saremmo trovati confrontati con pazienti ben diversi. Poi, con il passare dei giorni e delle settimane sono affluiti nei nostri reparti i primi pazienti: abbiamo cominciato a capire meglio il tipo di minaccia e deciso misure in grado di contrastare gli effetti devastanti del coronavirus in particolare sui pazienti anziani e più fragili per via di malattie pregresse. Grazie ai provvedimenti restrittivi dell’economia e alle misure di limitazione delle libertà di movimento decise dalla politica la curva pandemica è stata appiattita e il sistema sanitario ticinese ha saputo prendersi in carico in modo adeguato tutti i pazienti Covid-19. Il dispositivo Covid-19 è pronto. Passata la prima ondata, ci attendiamo una ripresa dei contagi anche a seguito dell’allentamento delle misure restrittive».
In particolare, qual è la situazione della Svizzera e quella del Ticino?
«Il nostro sistema federalista lascia parecchia autonomia ai Cantoni, ma in caso di crisi sanitaria la Confederazione assume un ruolo di conduzione. Il Cantone Ticino, data la sua vicinanza con il focolaio italiano, è stato colpito prima e più duramente del resto del Paese e abbiamo avuto qualche difficoltà iniziale a far capire l’emergenza in cui ci siamo trovati. L’obiettivo del Servizio pubblico è sempre stato quello di mettere in campo rapidamente anche in questo frangente un’organizzazione efficiente per cure sicure e di qualità in favore del paziente in Ticino. Abbiamo nei fatti confermato ai ticinesi che possono contare sulla leadership del loro ospedale pubblico. Il risultato raggiunto conferma la validità delle scelte operate sempre in sintonia e sotto l’egida della conduzione dello Stato maggiore di condotta del Cantone. Ci siamo spesi e abbiamo cooperato in modo proficuo con la sanità privata (in particolare con la Clinica Luganese Moncucco) mettendo a disposizione di tutte le strutture coinvolte le nostre risorse senza risparmiarci. Tutto ciò è stato possibile grazie alla grande professionalità, alla totale dedizione e all’entusiasmo di tutto il personale, che ha saputo raccogliere questa sfida epocale e che ringrazio di cuore. Questo ha suscitato anche un grande slancio di solidarietà presso la popolazione, che ha riconosciuto e apprezzato gli sforzi di chi ha combattuto il virus al fronte».
È realistico pensare che, passata l’emergenza, possa essere avviato un radicale ripensamento dei sistemi sanitari, nella previsione di eventuali altre situazioni emergenziali?
«L’emergenza vissuta ha permesso di rendersi conto dell’importanza di una sanità con strutture efficienti ed efficaci per cure di qualità e sicure. Ci si è resi conto di quanto pericolosi siano i tagli alla sanità già fatti in passato o programmati. Ha anche permesso di sottolineare l’importanza della collaborazione fra il settore pubblico e quello privato. Al termine di tutto ciò dovremo sederci e riflettere sull’accaduto, su ciò che è funzionato bene e sugli aspetti che possono essere ancora migliorati. Dovremo trarre le lezioni e gettare le basi per farci trovare pronti per la prossima pandemia. La riorganizzazione cui siamo stati costretti dal virus potrà anche servire per una riflessione su taluni aspetti dell’offerta sanitaria così come concepita fino ad oggi, in particolare laddove una concentrazione può significare maggiore qualità, sicurezza ed efficienza. Penso, per esempio, ai reparti di maternità dell’EOC, che durante la crisi sono stati concentrati a Bellinzona e Lugano».
Di fronte ad una pandemia globale, ha ancora senso parlare di risposte da parte dei singoli Paesi oppure sarebbe necessario rispondere, anche a livello sanitario, in modo coordinato, integrato e globale?
«È più che mai necessario coordinare la risposta a una pandemia: in un mondo globalizzato, i virus non si fermano certo alle frontiere e la collaborazione nella trasparenza è fondamentale. Anche la Svizzera è inserita in un contesto internazionale ed è chiamata a interagire e a coordinarsi con gli altri Paesi».