Non si fa che parlare di intelligenza artificiale, ma c’è un altro tema fondamentale ed estremamente attuale: che definizione si può dare del web 4.0?

«L’Unione europea, che ha già annunciato ampio sostegno alla ricerca in questo ambito, lo chiama next generation internet o ricorre al termine virtual worlds, un’evoluzione del concetto di metaverso. Si parla anche di spatial internet per descrivere questo internet molto più immersivo; un punto d’incontro fra il virtuale e il reale in cui l’utente si muoverà contemporaneamente tra le due dimensioni grazie a dispositivi indossabili e capaci di fornirgli informazioni a supporto dell’esperienza sociale e professionale. Sappiamo già che questo nuovo ambiente di accesso all’informazione sarà human centered, costruito affinché le persone possano capirlo in modo semplice».

Come possiamo immaginarci il web del domani e che ruolo avrà l’intelligenza artificiale?

«Sicuramente come un internet in cui avremo un ruolo sempre più attivo e un’intersezione fra mondo reale e mondo virtuale che potremo controllare con i modelli di machine learning, che ci supporteranno anche in attività molto complesse. I dispositivi indossabili – orologi, anelli e soprattutto occhiali per l’extended reality – ci permetteranno di vivere un’esperienza molto diversa rispetto al web tradizionale, fatto di schermate e bottoni. Si interagirà con la voce e con i gesti, con cui potremo recuperare informazioni ma anche influenzare l’ambiente in cui ci troveremo, sia reale che virtuale. Ad esempio: al supermercato potremo chiedere di trovare un prodotto e verremo condotti fra gli scaffali fino ad esso. Le potenzialità sono innumerevoli, per un ampissimo ventaglio di attività.

Fino a quando non ci sarà un’intelligenza artificiale generale (AGI), ovvero capace di apprendere e capire qualsiasi compito che può imparare un essere umano, l’IA si tradurrà in una cassetta degli attrezzi sempre più accessibile, integrata in questo nuovo internet e in grado di svolgere attività specifiche. Negli ultimi anni abbiamo assistito a una rapida evoluzione dei modelli di linguaggio capaci di scrivere testi, riassumerli e organizzare informazioni e di intelligenze artificiali generative che creano immagini e video. Questi strumenti probabilmente si presenteranno sotto forma di agenti virtuali che potremo interrogare, chiedendo loro di eseguire un compito e affinare il risultato in interazioni progressive. Lo scambio avverrà con un linguaggio e con gesti naturali; dunque, con una user experience estremamente semplice».

Qual è il contributo dell’Istituto sistemi informativi e networking allo sviluppo del web 4.0?

«I virtual worlds e lo spatial internet sono al centro della nostra strategia scientifica. Abbiamo solide competenze nella realtà virtuale, nell’analisi dei dati, nella user interface e user experience, nella sicurezza informatica e nella privacy, nonché nel cloud computing e nei sistemi distribuiti e decentralizzati. Vogliamo continuare la ricerca in questi ambiti e al tempo stesso specializzarci nell’intersezione tra queste competenze, coinvolgendo partner di progetto esterni e attivando nuove collaborazioni accademiche con istituzioni europee. In questa visione prendiamo ispirazione dalla volontà dell’UE di profilarsi nello sviluppo del web 4.0.

Tra i progetti che vanno in questa direzione si può citare V-cockpit, sviluppato insieme all’azienda ticinese Connecta Automotive Solutions. In un ambiente virtuale abbiamo la possibilità di modificare il design dell’abitacolo di un’automobile, intervenendo su tutti gli elementi al suo interno, sui materiali e sperimentando in realtà virtuale il loro utilizzo mentre si è alla guida. Possiamo immaginare che in futuro potremo lavorare con persone connesse dai quattro angoli del mondo che interagiranno fra loro e interverranno sul design del cockpit in tempo reale, indossando un paio di occhiali».

A suo avviso in che lasso di tempo un comune utente avrà accesso al web 4.0?

«Si può stimare un orizzonte di tempo fra i 5 e i 10 anni. Abbiamo già a disposizione strumenti di extended reality, che però non sono ancora entrati nella vita quotidiana del grande pubblico. È difficile fare previsioni e tutto potrebbe accelerare con lo sviluppo di modelli di IA generale».

In una recente dichiarazione pubblica il CEO di NVIDIA (l’azienda leader mondiale nella produzione di processori per l’intelligenza artificiale) ha affermato che l’IA trasformerà tutti in sviluppatori. La tecnologia rappresenterà la fine della programmazione come la conosciamo oggi?

«Sì e no. Grazie alle IA generative è facile immaginare che si potrà programmare in linguaggio naturale, senza la necessità di conoscere linguaggi di programmazione. Progressivamente vedremo ridursi la figura del programmatore esperto, a profitto di figure professionali in grado di indicare all’intelligenza artificiale come produrre una funzionalità desiderata. Non significa che gli sviluppatori scompariranno, anzi: il livello di complessità derivante dal next generation internet crescerà, così come la richiesta di figure capaci di allestire questi nuovi spazi virtuali, definendone il funzionamento. Non penso solo agli sviluppatori, ma anche a grafici, 3D designer e a figure che oggi non hanno ancora una definizione professionale chiara. Sicuramente si investirà più tempo nel puro atto creativo e nel problem solving, immaginando e concretizzando nuove funzionalità specifiche per un particolare pubblico o organizzando le richieste degli utenti nella loro estrema eterogeneità. Questi professionisti non scriveranno linee di codice di fronte a un monitor, ma interagiranno in extended reality. Il futuro degli sviluppatori potrebbe essere questo».

Abbiamo parlato di futuro. Nel presente che impatto sta avendo l’intelligenza artificiale sul vostro lavoro?

«I modelli di linguaggio integrati negli ambienti di sviluppo, ci permettono di trovare soluzioni in tempi molto più rapidi. L’intelligenza artificiale ha sicuramente portato un’accelerazione nelle nostre capacità realizzative: è un’assistente sempre a disposizione che aiuta a identificare delle scorciatoie. Mi aspetto che questi strumenti diventino sempre più efficaci anche nello scovare errori nel codice. Il bug fixing può essere un’attività molto onerosa se il bug è nascosto. Avere strumenti che li identifichino automaticamente potrebbe avvantaggiare molto gli sviluppatori.

Non ci si deve però dimenticare che oggi l’IA non è esente da imperfezioni; dunque, lo sviluppatore oggi non può esimersi dall’avere una conoscenza, anche profonda, del linguaggio di programmazione. Non siamo ancora ad un livello in cui qualsiasi programma può essere realizzato con il linguaggio naturale».