Nel suo lavoro lei si occupa di sicurezza e il suo campo d’azione va da Airolo a Chiasso. Poi, come detto, è anche guida alpina. Cosa unisce queste due occupazioni?
«Diciamo che mi piace stare sul terreno oppure, guardando la cosa da un altro lato, che non mi piace stare chiuso in un ufficio. Ho trovato un equilibrio perfetto e porto avanti le mie due occupazioni in modo molto armonico».
Come e perché si diventa una guida alpina?
«Partendo come tutti dalla grande passione per la montagna. Uno ci nasce, ce l’ha nel DNA. Nel 2002 ho ottenuto il Diploma Federale di guida alpina, coronando un percorso iniziato qualche anno prima. Mi ha senz’altro aiutato crescere in una famiglia dove le passeggiate e le escursioni erano all’ordine del giorno. Sono quindi entrato a far parte del Gruppo giovani del Club Alpino Svizzero sezione di Bellinzona, formandomi quale monitore Gioventù e Sport nelle discipline dello sci alpinismo e dell’alpinismo. Ho anche ottenuto il diploma di falegname, ma a un certo punto della mia vita ho avuto ben chiaro che volevo fare altro».
Cosa fa una guida alpina?
«In generale, si occupa di accompagnare i gruppi di “clienti” in montagna garantendo loro la massima sicurezza e aiutandoli a capire meglio il territorio che affrontano. Le guide hanno poi anche un importante scopo formativo: conducono corsi per i monitori di alpinismo o altro, persone che saranno in seguito chiamate a operare sul terreno. Il GAT è nato nel 1992 da una felice intuizione di Luciano Schacher e ora è ben strutturato. Tra noi c’è un ottimo spirito di squadra».
Esiste un vostro “cliente tipo”?
«Direi di no. La paletta è davvero ampia: ci sono i giovani e i meno giovani, famiglie, gli uomini e le donne, le persone robuste e quelle più minute. C’è chi vuole fare un’escursione tranquilla, del tutto rilassante e chi invece cerca qualcosa che lo impegni maggiormente. Una caratteristica comune però c’è: l’amore per la natura».
Potete lavorare ovunque?
«Sì. Abbiamo un diploma valido per tutto il mondo, anche se ci sono restrizioni puntuali: per esempio negli USA senza la green card non si lavora. All’estero, normalmente ci riferiamo a contatti locali perché ad esempio se si va in Nepal, per ovvie ragioni organizzative e di opportunità, non si può certo fare a meno di collaborare con le guide del posto. Ci sono problemi che a noi paiono insormontabili, ma che chi vive in un dato paese risolve in un attimo. Col tempo si creano contatti profondi un po’ dappertutto».
Le statistiche ci dicono che negli ultimi anni c’è stato un aumento delle persone che si sono appassionate ad attività quali l’escursionismo, lo sci alpinismo e l’alpinismo. Conferma?
«È effettivamente così. La cosa bella e stimolante è che ci sono molti giovani che si stanno avvicinando alla montagna. Probabilmente la spinta è data dalla volontà di uscire dalla routine quotidiana, dallo stress della città, da una certa monotonia. C’è la voglia di scoprire nuovi terreni su cui cimentarsi, di mettersi alla prova e di andare in posti dove non c’è la massa».
Questo tipo di attività richiede anche un elevato grado di preparazione.
«Certo, è un aspetto di centrale rilevanza. Per prima cosa, prima di muoversi da casa, occorre informarsi: il che significa conoscere la meteo, leggersi il bollettino valanghe, conoscere le difficoltà dell’uscita, prendere contatto con il guardiano della capanna che si frequenterà. Bisogna anche verificare il materiale e, per quanto ci concerne, conoscere con una certa precisione il grado di preparazione fisica del cliente. È pronto oppure no ad affrontare una marcia di tot chilometri e un dislivello “x”? Ovviamente, moltissimo dipende dal grado di difficoltà dell’escursione e dai giorni che si sta in giro. Di solito, si fanno gite di verifica proprio per capire lo stato di forma del cliente e solo dopo si affrontano prove più impegnative. Ogni precauzione è presa in funzione della sua e della nostra sicurezza».
Abbiamo parlato della forma fisica del cliente o del non professionista. E voi come curate la vostra condizione atletica?
«Siamo sempre in montagna e quindi l’allenamento è automatico! Dipende comunque dalla singola persona: c’è chi corre, chi va in rampichino, chi in palestra, chi ama l’arrampicata e via dicendo. Ognuno sa cosa deve fare perché conosce il proprio limite e sa dove deve lavorare per migliorare. È un discorso molto personale».
Andare in montagna è uno sport? È altro? Cos’è?
«Uno sport lo è a tutti gli effetti. Però è anche una filosofia: c’è il rispetto della natura e di quello che ci circonda. È anche una forma di amore verso quanto di eccezionale abbiamo a disposizione e spesso tendiamo a sottovalutare o, peggio, a maltrattare. Per me la componente sportiva non è preponderante: fare quello che faccio è principalmente un piacere, altrimenti non mi alzerei alle 3 del mattino per andare sul Cervino. Ci sono momenti di stress, passaggi difficili da affrontare, il cliente da gestire, la stanchezza, il tempo non sempre benevolo, però ci sono pure momenti di relax, di piacere, di contemplazione e di riflessione. Quando si arriva in cima… Be’, bisogna provare per capire».
Che caratteristiche deve avere una guida alpina?
«Ti deve piacere stare con le persone, se sei un solitario è dura. Il rapporto con il cliente è importante, deve scattare qualcosa, deve esserci intesa perché stare su una parete di ghiaccio, per dirne una, non è esattamente come stare seduti in poltrona a bersi un caffè. Noi guidiamo il cliente, ma il cliente deve essere in grado di formare con la guida un team forte e sicuro. A una guida è chiaramente richiesta una buona forma fisica generale perché deve disporre di un margine di sicurezza rispetto al cliente: lui può arrivare in capanna stanco morto, la guida deve avere ancora un po’ di benzina nel serbatoio. Gli imprevisti non mancano e in quel caso dobbiamo essere pronti anche mentalmente a risolvere situazioni che possono rivelarsi complesse».
Immagino che la formazione non finisca mai e che anche voi abbiate sempre qualcosa da perfezionare o da imparare.
«La formazione di base dura 3 anni e prevede vari moduli. Dapprima c’è la parte invernale: attività sulla neve, conoscenza delle valanghe, salite su cascate di ghiaccio, escursione con gli sci, eccetera. È previsto anche un approfondimento sanitario e si impara a gestire la comunicazione con il cliente. Successivamente si affrontano le prove estive: alpinismo, arrampicata sportiva, alta montagna, eccetera. Per diventare una guida devi superare ogni singolo modulo ed è un po’ come salire una scala concentrandoti sui singoli gradini. Superati i moduli sei un’aspirante guida e dopo un ulteriore anno di pratica, svolto accanto a una guida diplomata, accedi agli esami finali. In Ticino siamo un affiatato gruppo formato da una quindicina di persone. Non un gran numero: da noi manca la cultura e la tradizione della guida che, per esempio, è molto radicata in Vallese, nei Grigioni o nel Canton Berna. Da noi la gente che va in montagna tende a fare tutto da sé».
Lei lavora per le FFS ed è quella la sua professione quotidiana, quella che le dà da vivere. Non ha mai pensato di diventare guida alpina professionista?
«Il mercato in Ticino è piccolo e vivere solo di questo non sarebbe possibile. Bisognerebbe lavorare di più lontano dal Ticino, il che – avendo una famiglia – non è così semplice. E da fuori non arriva tanta gente. Da noi mancano i 4.000, quelle montagne che ai clienti piacciono parecchio, attrattive e quindi richiestissime. Il Ticino ha territori che tutti ci invidiano, ma come ho detto è uno spazio ristretto che non permette di soddisfare un certo tipo di domanda».
Lei vive praticamente ogni giorno il territorio e ce lo può dire con cognizione di causa: la natura sta cambiando?
«Sì, ed è ormai un dato di fatto. Faccio un esempio: anni fa il ghiacciaio dell’Adula era stupendo, enorme, esteso. Ora si è ritirato in modo oserei dire drammatico e ogni anno è peggio. È un peccato perché ciò che va perso oggi difficilmente tornerà domani. Anche gli inverni si sono trasformati: sono più corti, fa più caldo. In montagna, là dove prima nevicava in abbondanza ora piove. Credo sia giunto il momento di prendere coscienza di questa situazione e salvare il salvabile».
Perché consigliare l’escursionismo, le uscite in montagna, una camminata?
«Semplice: perché il Ticino è bello! E perché il Ticino è una continua sorpresa. Ahimé, nemmeno i ticinesi spesso conoscono il loro Cantone e allora mi piace pensare che noi guide siamo anche un veicolo per pubblicizzarlo. Inoltre, andare in giro per montagne, camminare, spostarsi su un crinale, affrontare una parete di roccia o di ghiaccio sono attività che portano in sé la bellezza della riflessione, del silenzio, del totale appagamento. Lo sforzo fisico – che c’è, inutile negarlo – è controbilanciato dal piacere di stare lì, in un dato posto, in un dato momento. In certi luoghi si ha la piena consapevolezza della bellezza e anche della maestosità che ci circonda. Solo la natura è in grado di regalare queste sensazioni. Ed è un dono di inestimabile valore».
Io, dilettante della camminata, vengo da lei e le chiedo di indicarmi una meta. Cosa mi dice?
«Per l’estate consiglierei l’Adula. Un’uscita bella, piuttosto agevole, che ti permette di capire che il ghiacciaio c’è ancora e di renderti conto dei cambiamenti in atto. Si può osservare da vicino la morena, l’ultimo deposito del ghiacciaio. Dalle tracce lasciate sul terreno, capisci esattamente fino a dove esso arrivava prima e dove è ora. È impressionante. Si impara parecchio. Poi, proporrei il Basodino, un sentiero glaciologico assai particolare. Per l’inverno, invece, una celebre classica ticinese, ovvero la Valle Bedretto: è una magnifica palestra naturale, apprezzatissima anche all’estero per le pelli di foca e le ciaspole».
E a un escursionista più preparato ed esigente cosa proporrebbe?
«La Via Alta della Verzasca, un’uscita di 5 giorni da capanna a capanna. È un percorso panoramico con tappe abbastanza impegnative con spostamenti quotidiani anche di 10 ore. Si parte dalla capanna Borgna nella Valle della Porta, zona che puoi raggiungere da Vogorno oppure dai Monti della Gana appena sopra Cugnasco; finisce poi a Sonogno. Ma, come ho detto prima, c’è solo l’imbarazzo della scelta».