Raggiungo Gaby alla Tenuta del Castello di Morcote, dove passa le sue giornate lavorative. Il paesaggio è idilliaco, tutto curato nel minimo dettaglio: l’orto, i fiori, le viti e poi la cantina dei vini, ricavata dall’antica fattoria in pietra. Ma quello «che mi emoziona maggiormente sono gli odori, intensi e unici. Abbasso lo sguardo e tra le rose selvatiche e il rosmarino vedo una coccinella…

Un sogno, il tuo sogno…

(Sorride felice) «Il mio sogno era quello di produrre del vino su questa terra e sono ancora in una fase di incredulità perché tutto quello che vedi è stato costruito con pazienza e determinazione in tanti anni, la cantina l’abbiamo ultimata solo un anno fa e ora l’azienda è finalmente diventata come la immaginavo sin da bambina».

Ci spostiamo negli spazi dedicati all’accoglienza e alle degustazioni, restaurati con cura e nel rispetto della tradizione ticinese. Dalle finestre si possono ammirare i vigneti, gli ulivi e il lago…

«L’azienda agricola e vitivinicola conta 150 ettari. Abbiamo sette ettari di vigna qui a Morcote su porfido rosso, una roccia di origine vulcanica, peculiarità di questo luogo magico e un unicum in Ticino. Se guardi bene ci troviamo su di una penisola, siamo circondati dal lago e i venti termici ci regalano un clima mite, che caratterizza questo terroir, che si riflette nell’anima dei nostri vini. Abbiamo anche diversi vigneti nel Mendrisiotto, su terreno prevalentemente calcareo, ognuno con le sue particolarità. Per noi è fondamentale rispettare e valorizzare i diversi terroir nei nostri vini. Devi sapere che all’inizio esisteva solo un vino: il Castello di Morcote etichetta nera, ti sto parlando di trent’anni fa, poi da questi vigneti abbiamo creato il Castello di Morcote Bianco, il Castello di Morcote Riserva, il nostro Rosé ed il Fuoco, mentre le altre quattro etichette: Il Moro, Biancamaria, Rubino e lo Chardonnay in purezza provengono dal Mendrisiotto».

Quindi otto etichette più un nuovo Rosé pluripremiato che sposa i due terroir (Morcote e Mendrisiotto) e ricorda l’importanza della presenza femminile nella tua azienda…

(Sorride) «La nostra è una ricerca continua, quotidiana, abbiamo anche iniziato ad usare le anfore in terracotta, un materiale molto interessante con una porosità diversa da quella del legno, capace di esaltare nei vini bianchi alcune caratteristiche come il frutto e la mineralità, presenti ad esempio nel nostro Chardonnay vinificato interamente in anfora e imbottigliato senza filtrazione».

So che le tue ricerche non sono mai casuali…

«Ogni mia scelta ha un legame profondo con la terra e con la mia famiglia. I miei avi erano originari della costa toscana, chiamata anche costa degli etruschi, dove l’utilizzo dell’anfora è piuttosto diffuso. Questo metodo di vinificazione e affinamento dei vini è molto antico, nato in Giorgia più di 7000 anni fa è stato poi adottato anche dai Greci e dai Romani. Inoltre, sulla nostra terra, all’interno del Castello di Morcote, si trovano i resti di una torre di vedetta d’epoca romana, tutto questo mi ha portato a vedere l’anfora come una continuazione storica che per noi aveva un significato importante».

Parli spesso delle tue radici, dei tuoi legami con la storia, la famiglia, la terra e tuo nonno …

«Mio nonno, lo penso ogni giorno, aveva una grande passione per il vino, amava e rispettava la terra, è stato lui a trasmettermi l’immenso amore per questo luogo».

Raccontaci di tuo nonno, cosa faceva e come è arrivato a creare questa immensa tenuta…

«Era un ingegnere, l’ultimo di nove figli. Suo bisnonno era emigrato in Ticino dalla Toscana e suo papà era muratore e contadino, un po’ come tutti sulle rive del Ceresio nell’800. In queste grandi famiglie, come spesso capitava, ognuno aveva un compito e visto che lui era il più piccolo, ed era molto sveglio, i suoi genitori gli proposero di andare a studiare in Germania. Stiamo parlando dell’inizio del ‘900, quindi per mio nonno Massimo si trattava di una grande opportunità. Al termine della prima guerra mondiale, dopo essersi formato a Friborgo e Stoccarda in ingegneria meccanica, ha avuto l’idea di importare dalla Germania dei macchinari che fabbricavano pezzi di precisione per l’industria e ha fondato la propria azienda a Milano. Malgrado l’attività imprenditoriale, che lo occupava molto, il suo amore per la terra, legato alle origini contadine, era sempre presente e il suo desiderio era quello di avere un’azienda agricola. Quando tornò a Vico Morcote e incontrò mia nonna Maria, più giovane di lui e, da quanto mi hanno detto, molto bella, il nonno ha deciso che avrebbe creato la sua tenuta esattamente dove siamo ora. Ha capito la bellezza straordinaria di questa penisola e ha avuto un progetto visionario. Con grande tenacia e convinzione ha acquistato oltre 500 parcelle di terreno, scambiando anche dei terreni al lago. Così facendo è nata l’Azienda Agricola Arbostora, dal nome della montagna, che riuniva allora 172 ettari di terreno.  Non contento (lo dice con un sorriso) ha iniziato a interessarsi alle rovine del Castello di Morcote, che appartenevano alla famiglia Paleari, discendenti dell’ultimo castellano, il quale aveva ricevuto il castello dopo la caduta dei Duchi di Milano. Con la sua tenacia e pazienza mio nonno è riuscito a convincere i fratelli Paleari, che non avevano eredi diretti, a cedergli le rovine del castello e le terre adiacenti. Il caso ha voluto che il venditore altro non era che Giuseppe Paleari, direttore in quel momento dell’istituto agrario di Mezzana, padre del Merlot del Ticino. Paleari aveva importato le prime barbatelle di Merlot dalla Francia e le aveva piantate proprio intorno alle rovine del castello. Da quel momento mio nonno ha iniziato a coltivare la vigna, ho ancora i disegni del progetto dei vigneti degli anni ‘30 e della suddivisione in parcelle dei terreni per sperimentare diversi vitigni, davvero affascinante. Mio nonno Massimo è stato per me una grande fonte di ispirazione».

Quindi questa passione per la terra ha saltato una generazione, anche se tu inizialmente hai fatto altre scelte…

«Si è vero, quando ero bambina ho abitato a Milano fino a 15 anni, ma ero sempre emozionatissima di passare i fine settimana a Vico Morcote nella natura e già da piccolissima pensavo che mi sarei occupata di questa terra, che ho sempre amato nel profondo. Penso che ognuno di noi abbia un destino nella vita, un compito, io, benché ne avessi sentito il richiamo subito, l’ho realizzato più tardi, quando è arrivato il momento giusto… Sono diventata mamma giovanissima, a 24 anni, e sono andata a vivere a Losanna, ho studiato lettere e storia dell’arte. Da lontano vedevo mio cugino occuparsi della tenuta, poi però lui è morto giovane e mio padre, con mio zio, hanno deciso di affittare la terra. Ad un certo punto, nel 1996, sono tornata in Ticino e ho avuto una sorta di illuminazione. Era la Vigilia di Natale e mio papà aveva iniziato un discorso che presagiva la vendita o perlomeno la cessione della terra, in quel momento mi sono riallineata a quello che era il mio destino. È stato a questo punto che ho deciso che volevo occuparmene io, malgrado allora non avessi le conoscenze né esperienze nel settore, e avevo due bambini piccoli. Inizialmente mio padre e la mia famiglia erano molto sorpresi e poco convinti della mia scelta, ma io ero assolutamente determinata e sono andata per la mia strada, da sola. Ci ho messo vent’anni, ma alla fine ce l’ho fatta (un attimo di silenzio, una grande emozione).

Non ti nascondo che ho incontrato anche grandi difficoltà, ci sono stati periodi durissimi, ma sapevo che dovevo restare lì, non mollare. Per prima cosa mi sono occupata dell’Alpe Vicania, creando un ristorante immerso nella natura poi, quando ho potuto tornare tra i vigneti (che erano stati dati da mio padre in affitto) ho iniziato ad occuparmene con tutto l’amore possibile, insieme all’enologo con il quale collaboravo allora, e nel 2009 abbiamo fatto la nostra prima vendemmia. La cantina è stata l’ultimo tassello di questo grande progetto, che ha richiesto un investimento importante e tanta attesa, ma come puoi vedere anche questo sogno è diventato realtà. Guarda qui (mi mostra gli oggetti sparsi nella sala), ci sono ancora le vecchie casse in legno per la raccolta dell’uva di mio nonno, i bidoni usati per trasportare il latte delle mucche, quanti ricordi…».

Voi siete un’azienda bio dal 2014, certificati dal 2017, eravate un passo avanti a tutti, e ora avete iniziato con la biodinamica, benché non sia facile con un clima come quello in Ticino. Mi spieghi cosa fate esattamente?

«Certamente, anche perché questo è un tema che mi sta molto a cuore. In origine la vite, che è una pianta rampicante, veniva lasciata crescere verso il cielo poi, per una questione di comodità sono stati creati gli impianti intensivi, è stata sfruttata, piegata, tagliata e legata, le barbatelle subiscono la pratica dell’innesto (si applicano le diverse varietà di Vitis Vinifera su un piede di Vite americana, resistente alla Fillossera). Così le piante sono diventate sempre più deboli, ammalate e di conseguenza trattate pesantemente con prodotti chimici di sintesi contro le numerose malattie, si diserba chimicamente sotto i filari, e tutto ciò rende il suolo senza più vita, si crea un circolo vizioso negativo sia per la terra sia per le piante, che dalla terra prendono il loro nutrimento.

Lo scopo della gestione biologica e biodinamica è di riportare fertilità e biodiversità nel suolo, non sforzare e sfruttare le viti, in modo che possano trovare un loro equilibrio. Per questo sono banditi innanzitutto pesticidi, diserbanti e prodotti chimici, ma vengono utilizzati solo preparati a base naturali a base vegetale, animale o minerale. Il metodo biodinamico, nato negli anni ‘20 dall’antroposofo Rudolf Steiner, è un ulteriore strumento che affianchiamo al bio per fortificare ulteriormente il suolo e le piante di vite, sempre con lo scopo di creare equilibrio e meno malattie. È una visione olistica dell’agricoltura dove la terra, le piante, gli animali e l’uomo stesso che ne prende cura, sono interconnessi tra loro. La natura, ed in particolare il mondo vegetale, è sempre stato legato ai ritmi cosmici che ne influenzano il ciclo vitale. Per questo la biodinamica osserva i cicli della luna come quelli di tutti gli altri pianeti del nostro sistema solare e delle costellazioni che li circondano. In concreto questo cosa significa? Che bisogna cercare di seguire il calendario lunare e biodinamico durante tutte le fasi in vigna e in produzione, distribuire sul suolo e sulle piante di vite i preparati biodinamici, come ad esempio il corno letame e il corno silicio. Il corno letame, così ti faccio un esempio pratico, contiene il letame di una mucca che ha già partorito, viene sotterrato prima dell’autunno e in primavera il suo contenuto, ricco di milioni di batteri, viene dinamizzato in una pentola di rame con acqua di sorgente e poi spruzzato a mano sul suolo, nella zona delle radici. Possono apparire stregonerie, ma ti assicuro che la qualità del terreno, delle foglie e dell’uva, cambiano. Queste scelte comportano molto lavoro supplementare e sono un sacrificio, bisogna crederci, ma si viene ampiamente ripagati nel vedere una stupenda biodiversità in vigna, e sentire quanto vibranti diventano i vini. Pensa che quest’anno sono stata scelta per la nuova campagna Swisstainable di My Switzerland (Svizzera Turismo) come personalità “changemaker”, ed il video è davvero emozionante, racconta in immagini le parole che ti sto raccontando».

Sembra che tu stia parlando di un’epoca lontana, dove il tempo si è fermato, dove la natura riprende la giusta misura nella nostra vita. E il Relais Castello di Morcote?

«È stata un po’ una conseguenza di quanto costruito. Quando le prime persone venivano in cantina per assaggiare i vini, desideravano potersi fermare più a lungo per godere della bellezza del posto, così mi chiedevano dove potessero dormire. Ho pensato che sarebbe stato bello offrire loro un luogo che rispecchiasse la filosofia della tenuta e la magia del castello. Il bellissimo edificio, parte di un antico convento del 1600, che ospita il Relais appartiene a una famiglia di amici, sono loro ad averlo riattato con estremo gusto, con materiali ecosostenibili, e noi lo gestiamo. Ci sono dodici camere, tutte diverse tra loro, e mi sento di dire una più bella dell’altra».

Accanto a te hai comunque anche tre figli e un marito…

(Sorride felice) «Sì e senza di loro non potrei sentirmi così completa. Maurizio, mio marito, ha avuto un ruolo importantissimo in questo progetto, mi ha dato la forza di fare lo sprint finale perché lui stesso è un grande appassionato di vini. Quando l’ho incontrato nel 2017 per lavoro abbiamo subito iniziato a parlare come se ci conoscessimo da sempre e dopo sole tre settimane abbiamo deciso di vivere assieme, penso che succeda unicamente quando incontri finalmente la tua anima gemella. Ora lui, che proviene dal mondo dell’aviazione, è il capitano della nostra squadra. Gli dico sempre, ridendo, che sono molto grata che abbia scelto di scendere dal cielo sulla terra per me».

Anche Maurizio ha dei figli, c’è qualcuno che già pensa di lavorare con voi…

(Ride) «Effettivamente siamo una grande famiglia, cinque ragazzi e noi. Per ora siamo così appassionati che continueremo a lavorare a tempo pieno, anche se naturalmente coinvolgiamo i figli poiché si tratta di un’attività totalizzante, e ognuno a modo suo ci aiuta e ci sostiene, in futuro vedremo. Il nostro team di collaboratori è molto giovane, flessibile, anche perché per avere un approccio sostenibile ci vuole una mente aperta e disponibilità, soprattutto per la biodinamica… perché capita di doversi svegliare nel mezzo della notte per dare i preparati biodinamici, per poter rispettare tutta una serie di parametri».

Hai parlato di team, abbiamo già detto che hai molte donne che lavorano con te, anche l’enologa…

«Sono felicissima del mio team che comprende due donne eccezionali: Erminia e Benedetta, ma tutta la squadra è molto affiatata e anche i ragazzi in cantina e in vigna fanno un grandissimo lavoro. Benedetta Molteni è la nostra enologa, ha alle spalle esperienze internazionali e ha lavorato per una cantina molto rinomata prima di arrivare da noi, poi il destino, possiamo dire così, l’ha portata qui. Sono felicissima di averla con noi, anche perché non ha ancora trent’anni ed è piena di energia e sa come fare bene il vino. Con lei siamo riusciti a creare un legame, una sintonia ottima perché abbiamo la stessa idea di come devono essere i vini: freschi, fruttati ed eleganti. E soprattutto espressione vibrante del terroir da cui provengono».

Che emozione proveresti ad avere accanto a te, per un istante, tuo nonno Massimo!…

«Lo abbraccerei fortissimo e gli direi: “Grazie per aver visto qualcosa che hai saputo vedere solo tu e grazie per avermi trasmesso questa passione” e “che quando pensavo di non farcela, in ogni momento difficile, pensavo a te nonno”.  Lui è un po’ il mio angelo custode».